5 domande a… Cynthia Collu

Abbiamo incontrato Cynthia Collu, autrice di Una bambina sbagliata, edito da Mondadori che vi abbiamo presentato proprio ieri.
E la tentazione di fare quattro chiacchiere parlando di lei, ma soprattutto di libri, è stata troppo forte.
Eccovi la nostra piccola conversazione.

  • Parliamo del tuo primo romanzo: com’è nata l’idea di “Una bambina sbagliata”? E, per rendere la domanda universale, come nasce un romanzo?
    Partiamo dall’universale, nel quale ognuno di noi può riconoscersi, anche se solo per l’attimo fuggente di un battito di ciglia. Il romanzo nasce di solito da un’idea che prende forma e si consolida man mano che si scrive, costruendone a poco a poco la storia, che del romanzo diventa robusta muscolatura. A volte, invece, il romanzo è chiaro all’autore sin dall’inizio (per esempio quando si tratta di un giallo, di cui l’autore sa più o meno chi muore come muore e chi è l’assassino). Si parla spesso del bisogno – o dell’urgenza – che spinge l’autore a scrivere. Credo che questo sia vero soprattutto per il primo romanzo, poi subentra una specie di calma (fittizia!) dove l’autore diventa un “trovarobe”, va cercando cioè storie da raccontare che non siano dentro di sé, ma nel mondo. Il mio romanzo “Una bambina sbagliata” nasce dal desiderio di raccontare una storia di riscatto: quello di una donna che, arrivata all’età adulta, non riesce a liberarsi della sensazione di inadeguatezza – di essere cioè “sbagliata” – che l’ha accompagnata per tutta la vita sin dal momento in cui, ancora bambina, ha scoperto che la madre la rifiuta. La sua vita sarà una lunga ricerca (tra momenti tristi ed altri allegri) di quell’autostima che da sempre le manca. La troverà, e sarà così in grado di riconciliarsi con la madre, più che attraverso il perdono, attraverso la comprensione della sofferenza altrui.
    Il romanzo è una sfida all’incomunicabilità, all’incomprensione e all’incapacità  di amare, è il credere che si possa superare la barriera sottile che separa la sofferenza dalla disperazione, che si possa spezzare  il cerchio dell’incapacità di comunicare – soprattutto amore – tra genitori e figli, tra generazioni. Ecco, da questa sfida è nato.
  • Stephen King in On Writing scrive: “Sistemate la vostra scrivania nell’angolo e tutte le volte che vi sedete lì a scrivere, ricordate a voi stessi perché non è al centro della stanza. La vita non è un supporto dell’arte. È il contrario.” Com’è la tua giornata-tipo da scrittrice? E, giusto perché sono una curiosona, la scrivania la tieni al centro o nell’angolo? 🙂
    La mia giornata è  d’una normalità imbarazzante. Ho un figlio di sedici anni che seguo negli studi, la casa da portare avanti, il marito con cui “discuto”  spesso e volentieri… Tutto normale, insomma!
    Mi alzo presto la mattina, sistemo casa poi, solo ed esclusivamente quando è  tutto a posto e il mio sguardo si può rilassare senza doversi posare nel caos più totale, solo allora mi siedo al computer e scrivo. Poi verso le dodici e  trenta preparo da mangiare per il figlio che torna a casa. Poi rigoverno, tento di nuovo di mettermi a scrivere ma spesso l’impresa è ardua, mio figlio ha qualcosa da dirmi, o da recriminare, o da condividere, qualcuno telefona, commissioni da sbrigare, torna il marito e… riparte il giro di giostra sino a sera, verso le 22, quando mi ritrovo con un po’ di tempo per rivedere quanto ho scritto, rispondere a mail e così via. Insomma, faccio parte del grande club delle casalinghe, più o meno insoddisfatte.
    Per quanto riguarda la frase di King, non saprei. Per me è spesso vero l’opposto. La scrittura porta via larghe fette di vita, perché è un’ossessione che non ti abbandona mai. Non era Pirandello che diceva “La vita o si vive o si scrive, io non l’ho mai vissuta, se non scrivendola.”? E Conrad, di rimando “Come faccio a far capire a mia moglie che anche quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando?”.
    Dimenticavo, la scrivania la tengo contro la vetrata della mia stanza, così  ogni tanto alzo gli occhi, me li riempio del mondo circostante e poi torno a scrivere.
  • So che stai completando il tuo secondo romanzo. Vuoi darci qualche piccola anticipazione?
    Meglio di no. Come tutti gli scrittori, sono molto scaramantica. Posso solo anticipare che si svolgerà tutto o quasi nel giro di ventiquattro ore, e che indago su dinamiche familiari molto particolari.
  • C’è  un romanzo, tra tutti quelli pubblicati in questi anni, che avresti voluto scrivere tu?
    No. Soprattutto perché, se li avessi scritti io, mi sarei persa il piacere profondo e il godimento di leggerli.
  • Ed infine, la domanda che oramai rappresenta il “gettone di presenza” di zebuk, ovvero: quale libro hai sul comodino attualmente?
    Parecchi, una pila (anche questo da prassi comune a tutti i lettori). Gli ultimi libri che ho letto sono stati “Una solitudine troppo rumorosa” di Hrabal, “Mentre morivo” e “L’urlo e il furore di Faulkner” tutti, a mio avviso, imperdibili. Adesso ho intenzione di leggere “Auto da fé” di Elias Canetti. Mi aspettano anche Djuna Barnes “La foresta della notte”, e “La notte” di Wiesel. Ma, vista la corposità del romanzo di Canetti, e la mia lentezza nel leggere (a volte mi rileggo un passo che mi è piaciuto anche cinque volte), penso che dovranno aspettare ancora un bel po’.

Grazie a Cynthia per la disponibilità. E, soprattutto: ma quanto sono curiosa ora di scoprire di cosa parla il suo secondo romanzo???

Silbietta
40enne, mamma di una ex Vitellina, moglie di un cuoco provetto. Le mie passioni: lettura e scrittura. E ZeBuk. Fresca Expat in quel di Londra, vago come un bambino in un negozio di giocattoli nei mercatini di libri usati. Forse è questo il Paradiso!

2 COMMENTS

  1. Curiosissima anch’io!
    E anche i libri che hai consigliato, Cynthia, mi hanno ispirato!

    “ogni tanto alzo gli occhi, me li riempio del mondo circostante e poi torno a scrivere”: è bellissimo immaginarti così, al lavoro…

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