Cristiana Pezzetta: la comunicazione non violenta, uno strumento per ripensare e riattivare il mondo delle nostre relazioni

Questo guest post nasce quasi per caso e spesso è proprio così che nascono le cose più belle e interessanti vero? 🙂
Quando abbiamo deciso di parlare di violenza su Zebuk lo abbiamo fatto soprattutto perché conoscere le nostre paure è il modo migliore per imparare a non avere più paura. 
Poi è arrivata Cristiana e ci ha proposto di parlare insieme di Comunicazione Non Violenta.
Be’, è proprio da qui che dobbiamo cominciare, se vogliamo imparare a stare insieme agli altri, a non aver paura, a insegnare ai nostri figli cosa siano il rispetto per le persone e la condivisione…
Quello che ci indica Cristiana Pezzetta, presidentessa dell’Associazione Semi di Carta, è un percorso di lettura che parla di un metodo e di un diverso atteggiamento da utilizzare per migliorare i nostri rapporti con gli altri e la nostra capacità di comunicare in modo positivo.
Mille grazie a Cristiana e un invito a tutti: impariamo a conoscere noi stessi, non solo le nostre paure: è il primo passo per migliorare (forse) il mondo!

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Il guest post

Sarebbe buffo, se non fosse inquietante, il fatto che per esprimere un concetto positivo utilizziamo la negazione del suo contrario. Fa parte della nostra cultura.

Dobbiamo negare l’esistenza di qualcosa per affermarne un’altra. Dobbiamo negare l’esistenza dell’altro, o dei suoi modi di esistere, per affermare il nostro diritto alla vita.

Ci viene bene giudicare, esercitare il nostro pensiero critico per sostenere il processo di costruzione della nostra identità. E qui il concetto di bene o di male c’entra poco, ammesso che ne esista un’accezione di significato assoluto. Semplicemente abbiamo imparato a costruire la nostra identità, decostruendo quella di altri.

Lo sviluppo del nostro pensiero critico funziona in questo modo, è parte della nostra storia filosofica che dagli albori del pensiero scientifico ha tracciato la rotta per il procedere sempre più articolato del pensiero logico-deduttivo e quindi della scienza con tutti gli evidenti incommensurabili progressi che ne sono seguiti.
Ora l’allenamento costante a questo esercizio di pensiero non ha portato però solo progresso scientifico, ma ha indotto sempre più gli esseri umani, sia singoli che in comunità, a praticare una forma pervicace di out-out esistenziale, religioso, politico, sociale, scientifico.

O io o te, o noi o loro.

Basta accendere la TV per averne esatta misura. Molti noti programmi di divulgazione politica si trascinano in un escalation di toni aggressivi che le controparti si lanciano contro a suon di affermazioni come mitragliate.
Il risultato che ne consegue sia nelle relazioni individuali che in quelle collettive è una costante emissione di violenza, verbale e non solo, plateale o soffusa, che dovrebbe garantire l’esistenza dell’una parte con ragione, a scapito dell’altra, che andrebbe dunque rettificata. Con la conseguenza ulteriore di aggiungere paglia sul fuoco in chi subisce e quindi con il gettare semi incandescenti di rabbia, che prima o poi sfoceranno in un’altra ragione da sostenere a scapito di nuovi inadeguati interlocutori. Senza tener conto del fatto poi che l’espressione del pensiero critico giudicante è inversamente proporzionale alla consapevolezza dei nostri reali bisogni.

Quindi avere ragione non ci ha portato ad essere felici, sostiene Marshall Rosenberg, che negli ultimi 40 anni ha cercato di costruire con la pratica della Comunicazione Non Violenta, CNV, terreni fertili per una nuova consapevolezza del linguaggio.
Dottore in psicologia clinica e allievo di Carl Rogers, da più di 40 anni, Rosenberg cerca di diffondere il metodo da lui messo a punto in tutto il mondo, compresi i teatri di guerra più devastanti degli ultimi decenni, dai territori israleliano-palestinesi alla Bosnia.

Il fulcro del suo modello di comunicazione si fonda sull’osservazione delle forme di linguaggio che attuiamo nella dinamica delle nostre relazioni quotidiane, sia personali che lavorative.

Spesso, sostiene Rosenberg, i nostri enunciati hanno il peso e la consistenza di pretese che poniamo come macigni sulle spalle dell’interlocutore. In sostanza imputiamo all’altro, nei suoi diversi modi di esistere, il mancato soddisfacimento delle nostre aspettative. La diversità che riscontriamo nei nostri compagni di viaggio sarebbe all’origine di una mancata e piena attuazione della nostra vita. E quindi chiediamo all’altro di renderci felici nella misura in cui è disposto a cambiare.

Ma la verità è un’altra, ed è che spesso non sappiamo bene neanche noi cosa davvero desideriamo da noi stessi, dalla vita e dagli altri, però chiediamo agli altri di darcelo. Con la risultante migliore di far scappare l’altro, o peggiore di irrigidirlo senza permettergli di comprendere a fondo l’autenticità della nostra richiesta e ponendo sulle sue spalle l’esito fallito delle nostre attese.

Non ci conosciamo e non sappiamo riconoscerci.

Quindi il primo passo da fare, secondo Rosenberg, è imparare ad osservare la realtà che ci circonda e i comportamenti degli altri senza formulare alcun tipo di giudizio, senza lasciare che il veleno dei nostri bisogni non espressi, inquini all’origine, ogni possibile forma di incontro con l’altro.

Si tratta di fare un primo passo che, non attuandosi fuori come pensiero critico giudicante, ci proponiamo di compiere verso di noi, per interrogarci sulla ragione per la quale il comportamento dell’altro ci risulta così impossibile da comprendere, a tal punto che sentiamo ledere nelle sue azioni il nostro diritto alla vita.

Quindi è necessario imparare a riconoscerci i bisogni inespressi e a comprendere a fondo l’origine esistenziale della nostre richieste.

Solo partendo da questo punto potremmo essere in grado di formulare richieste precise coinvolgendo l’altro nel riconoscimento dei nostri bisogni ma non imputando a lui la totale responsabilità del nostro essere soddisfatti e felici.

Nelle nostre società post-moderne è vitale per una promozione della cultura del dialogo e della pace che ognuno di noi si faccia autore della propria consapevolezza e renda l’altro libero di non corrispondere esattamente al soddisfacimento dei propri bisogni, esercitando la capacità di mediazione e di comprensione empatica. Così forse saremo in grado di capire le ragioni dell’altro, che il più delle volte non sono poi così tanto lontane dalle nostre.

Marshall Rosenberg è autore di numerosissime pubblicazioni, edite in Italia dalla casa editrice Esserci.

Il fondamento della ricerca e della pratica di Rosenberg si trova in Le parole sono finestre (oppure muri), e Preferisci avere ragione o essere felice?
Ognuno di questi testi è ricco di esempi tratti dalla pratica diffusa che lo stesso autore ha portato nel mondo, anche lì dove sembrava impossibile attuare la comunicazione non violenta.
Ma molti altri titoli si potrebbero citare. Per esempio, rivolto a chi ha figli è Educazione reciproca, o i numerosi albi illustrati dedicati proprio ai più piccoli, con una meravigliosa giraffa come protagonista, scelta da Rosenberg per avere il cuore più grande dei mammiferi terrestri e nota nel mondo animale per non avere nemici.

Sarà che il mondo è sempre stato attraversato da scontri, violenze, guerre e sarà anche che le relazioni umane comportano necessariamente una certa dose di aggressività, ma ora è importante cominciare a considerare e a credere che la violenza e l’aggressività sono solo elementi di un processo la cui direzione deve essere tracciata nella costruzione del rispetto reciproco della vita condivisa.

Polepole è Silvia, lettrice affamata e da poco tempo molto selettiva, geometra, architetto, perenne studente della vita. Sono nata nel 1973, in un soleggiato ultimo giorno di aprile, ho un marito e due figli meravigliosi, che riempiono la mia vita di emozioni belle. Passerei l’intera esistenza sui libri, con tazza di cioccolata fumante al seguito, senza distogliere lo sguardo se non per farmi conquistare dalla copertina di un altro libro.

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