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Il porto di Toledo, Anna Maria Ortese

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Il porto di Toledo, Anna Maria Ortese

Nella cucina era sempre odore di cavolo e uova. Nella stanza Rossa, vero dormitorio di studenti, dominava odore di mandarino e d’inchiostro; qua, a notte, i giovani della casa studiavano e sbucciavano mandarini meravigliosi.

Ho conosciuto Anna Maria Ortese grazie a Il mare non bagna Napoli: racconti di Vita, luci e ombre nella Napoli del secondo dopoguerra, che riscaldano l’anima grazie al Colore, che sa farsi spazio nonostante il profondo degrado ed il completo abbandono di uomini e cose, fotografato con sapienza. Ad una lettura molto attenta, da “addetto ai lavori”, tra le righe si possono leggere critiche e giudizi, anche polemiche – come quelle che hanno condannato la scrittrice all’esilio (volontario) dalla sua città preferita, Napoli.

Non mi aspettavo però di trovare una così piacevole allucinazione nelle parole scritte della stessa autrice in questo altro suo romanzo: la Nuova Toledo, città immaginata dove corre la vita di Damasa – e Dasa, e Toledana e altri suoi nomi – e della sua famiglia, è una città fantastica, dove il vento corre nelle rue, dove si nascondono – eppur si vedono – case del ricordo, piene di fantasmi e di ombre, tra il mare e la collina. La storia di Damasa Figuera, bambina vestita da ragazzo, che scorrazza tra vie e colline e pontili e luoghi appartenenti ad un mondo che non esiste, è piena di quel fascino bambino, di quello che, nei ricordi da adulti, torna della propria vita da piccoli. È la storia di Anna Maria, quella di Damasa, condita dei suoi sogni, del vento che fa sbattere le imposte, dei suoi disegni di indiani d’America sulle pareti, del suo caro fratello morto in navigazione intorno all’isola di Martinica, dei lampioni che – la sera, solitaria ragazza vestita da bambino – le fanno compagnia e le parlano, luci amiche che si presentano e le chiedono di lei. È la storia della sua scrittura, fatta di realismo e di nuvole rosse che passano lasciando stracci di sogni come vele strappate. È la storia della nascita della sua voglia/bisogno di scrivere.

Nella stanza attigua (d’Angolo), al di sopra di ceste e casse abbandonate – pendeva il soffitto qua e là sfondato, e perciò nessuno vi entrava mai – erano raccolti tutti i vari popoli d’America, Comanche, Appalachi, Piedi Neri ecc., insieme ad altre apparizioni del Continente australe, tutti da me dipinti. Vi era anche un tavolacci (nessun altro mobile, tranne una brandina, dato che spesso pioveva), e qui io scrivevo.

Ancora una volta, al tempo, Anna Maria Ortese non fu capita. Ancora una volta cercò di capire e di spiegare. In effetti le prime pagine del romanzo sono un po’ sconcertanti, perché non ci si rende conto del dove del come e del quando. Ma presto, molto presto, si cammina insieme a Damasa per le piazze grandiose della città, per i vicoli pieni di vento, tra le chiese sparse e sui colli. Non c’è bisogno – anzi, è meglio non provarci nemmeno – di essere colti e raffinati lettori: “Il porto di Toledo” è uno di quei romanzi da sentire dentro. Un luogo dove fuggire senza pensieri, vestiti di poco, con un cappello contro il sole e il vento e nient’altro. Uno di quei posti dove sognavamo di perderci da ragazzini, con le nostre tristezze, le assurdità, le ombre e i segreti:

Mi dispiace di aver scritto tanto di cose così assurde, e comunque non comprensibili, nemmeno a me stessa. Di aver liberato una persona così inesplicabile e triste. E tante altre ombre. Ma esse – e la città perduta dove camminano – non sono di qui e di nessun luogo. Devono, quindi, essere prese per sogni, o narrazioni confuse del vento… e come tali, a lettura finita, considerarle.

Alla fine, l’immagine che rimane – forte – di questa storia è il viaggio. Nella profondità di sé, prima di tutto.

(…) Non so se sono riuscita a fare quello che volevo fare, ma la mia intenzione era quella di dare una testimonianza su una vita, mia o immaginata, poco importa, che lentamente si trasformasse in poesia, in assoluto.

Per me, Anna Maria, ci sei riuscita in pieno!

Il porto di Toledo
Anna Maria Ortese
Adelphi (collana Fabula), 1998, pag. 554, € 12,00
ISBN: 978-8845913570
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