Le notizie su Walter Berglund non vennero riprese dalla stampa locale — lui e Patty si erano trasferiti a Washington due anni prima, e ormai non contavano più niente per St Paul —, ma la nuova borghesia urbana di Ramsey Hill non era così leale alla propria città da non leggere il «New York Times». Secondo un lungo e assai poco lusinghiero articolo del «Nyt», Walter, nella capitale della nazione, aveva mandato a rotoli la propria vita professionale. I suoi vecchi vicini avevano qualche difficoltà a conciliare la descrizione del quotidiano («arrogante», «tirannico», «eticamente compromesso») con l’uomo generoso, sorridente e rubicondo dei loro ricordi, l’impiegato della 3M che risaliva Summit Avenue sulla sua bici da città nella neve di febbraio; sembrava assurdo che Walter, più verde di Greenpeace e cresciuto in campagna, fosse finito nei guai per connivenza con l’industria del carbone ai danni dei contadini. Ma nei Berglund, d’altra parte, c’era sempre stato qualcosa che non andava.
La trama
Walter e Patty erano arrivati a Ramsey Hill come i giovani pionieri di una nuova borghesia urbana: colti, educati, progressisti, benestanti e adeguatamente simpatici. Fuggivano dalla generazione dei padri e dai loro quartieri residenziali, dalle nevrosi e dalle scelte sbagliate in mezzo a cui erano cresciuti: Ramsey Hill (pur con certe residue sacche di resistenza rappresentate, ai loro occhi, dai vicini poveri, volgari e conservatori) era per i Berglund una frontiera da colonizzare, la possibilità di rinnovare quel mito dell’America come terra di libertà “dove un figlio poteva ancora sentirsi speciale”. Avevano dimenticato però che “niente disturba questa sensazione quanto la presenza di altri esseri umani che si sentono speciali”. E infatti qualcosa dev’essere andato storto se, dopo qualche anno, scopriamo che Joey, il figlio sedicenne, è andato a vivere con la sua ragazza a casa degli odiati vicini, Patty è un po’ troppo spesso in compagnia di Richard Katz, amico di infanzia del marito e musicista rock, mentre Walter, il timido e gentile devoto della raccolta differenziata e del cibo a impatto zero, viene bollato dai giornali come “arrogante, tirannico ed eticamente compromesso”. Siamo negli anni Duemila, anni in cui negli Stati Uniti (e non solo…) la libertà è stata come non mai il campo di battaglia e la posta in gioco di uno scontro il cui fronte attraversa tanto il dibattito pubblico quanto le vite delle famiglie.
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Qualche anno fa mi è capitato di vedere un film assai strano.
Si intitolava “I vicini di casa”, che poi è anche l’ultima pellicola girata da John Belushi.
E c’era questa famiglia normale, la cui esistenza veniva scombussolata dall’arrivo di vicini davvero fuori dall’ordinario.
Ma, più che un film comico, le vicende narrate erano surreali, quasi allucinate.
Ecco.
Quel surreale l’ho, in qualche modo ritrovato in Libertà di Franzen.
I protagonisti, alla ricerca della loro libertà personale, si ritrovano in qualche modo incastrati in un meccanismo che li rende prigionieri.
Un surreale che, però, si fa drammatico se si pensa a quale prezzo si deve pagare per poterci concedere il diritto alla libertà personale
E’ un romanzo ben scritto, che magari merita una seconda rilettura.
Perchè secondo me è impossibile coglierne tutte le molteplici sfaccettature al primo colpo.
Libertà
Jonathan Franzen
Eiunaudi, 2011, 622 pag., € 22,00
ISBN 9788806191115