
“Sull’orlo dell’abisso, poi l’amore, all’improvviso”.
La storia di Dino Campana, poeta, uomo innamorato, pervaso da una forza che nemmeno lui conosce fino in fondo, ma che lo spinge ad andare sempre oltre.
La recensione di Di fango e di rose, Giorgio Montanari
“Campana, il mio nome è Dino Campana. Vengo da Marradi. Sono poeta”
Il poeta cammina. Attraversa i boschi, ascolta il rumore del suo passo, dorme dove capita e non importa come. Non si sente a casa da nessuna parte. I suoi vestiti sono logori e patisce i morsi del freddo, ma in tasca ha un manoscritto. È la sua ragione di vita, atto d’amore verso la poesia. Per questo ha lasciato la sua casa natale e un padre e una madre che non lo capiscono, forse lo odiano, di certo lo osteggiano. Per questo deve andare a Firenze, e mostrare il frutto della sua passione al mondo dei letterati. Il poeta inquieto è Dino Campana, il suo manoscritto è Il più lungo giorno, che andrà perduto e che il poeta riscriverà a memoria…
La mia opinione su Di fango e di rose, Giorgio Montanari
“È peggio del veleno il manicomio, peggio mille volte dell’esilio di Dante, credimi. E ho patito, più che se avessi avuto la gobba di Leopardi sopra la schiena. Sono morto, dopo una lunga agonia, in un letto di dolore, senza olio santo e parola di consolazione di un cristiano. Peggio di un cane ho chiuso gli occhi ma nessuno sa che sognavo di lei, le sue gambe, la bocca. Sibilla, oh Sibilla!”
Avevo un professore rigido e scontroso, in prima superiore. Era molto esigente e non alleggeriva mai quel suo atteggiamento nervoso.
Avevo scelto un istituto tecnico ma amavo tutt’altro che numeri e formule, in verità. Amavo leggere.
Leggevo di tutto, dalle poesie che non capivo e ascoltavo più col cuore che con la testa, ai romanzi – non quelli romantici, per carità!
Il prof ci dette una lunghissima lista di libri il primo giorno di scuola e non disse “scegliete da qui” ma “dovete leggerli tutti”.
Non ricordo il titolo, ma da qualche parte, fra quelle pagine, scoprii “In un momento”:
In un momento
Sono sfiorite le rose
I petali caduti
Perché io non potevo dimenticare le rose
Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose erano le mie rose
Questo viaggio chiamavamo amore
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi
Le rose che non erano le nostre rose
Le mie rose le sue rose
P. S. E così dimenticammo le rose
Ritrovo ora queste splendide parole, scelte con un vaglio molto sottile, e m’incantano ancora una volta.
La delicatezza, la follia di un uomo (o di chi gli stava intorno?), la sua capacità di far sentire l’emozione…
La sua passione genuina lo portò a scontrarsi con il mondo falso degli intellettuali, “uscendone con le ossa e l’anima rotte ma trovando l’amore di Sibilla Aleramo, l’unica che l’ha riconosciuto per quello che era”.
Davvero era pazzo, Dino Campana? Davvero tanti poeti lo sono stati? Oppure è stato un grosso errore generale, quello che ce lo ha fatto credere e che li ha condannati a tante sofferenze?
Leggendo Di fango e di rose di Giorgio Montanari, mi sono fatta tante domande, ho segnato e appuntato cose che vorrei capire, luoghi che vorrei vedere, per farmi una mia idea, perché l’impressione che quelle parole hanno avuto su di me non è mai stata “follia”, anzi…
Buona, buonissima lettura.
Di fango e di rose
Giorgio Montanari
IoScrittore, 2021, p. 184, €. 15,00