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Afrodita, Isabel Allende

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I cinquant’anni sono come
L’ultima ora del pomeriggio,
quando il sole tramontato
ci dispone spontaneamente alla riflessione.
Nel mio caso, tuttavia,
il crepuscolo mi induce al peccato.
Forse per questo,
arrivata alla cinquantina,
medito sul mio rapporto
con il cibo e l’erotismo,
le debolezze della carne,
che più mi tentano,
anche se, a ben guardare, non sono quelle
che più ho praticato.

Mi pento delle diete, dei piatti prelibati rifiutati per vanità, come mi rammarico di tutte le occasioni di fare l’amore che ho lasciato correre per occuparmi di lavoro in sospeso o per virtù puritana.

Passeggiando per i giardini della memoria, scopro che i miei ricordi sono associati ai sensi. […] L’odore penetrante dello iodio non mi evoca immagini di ferite o interventi chirurgici, bensì di ricci, strane creature marine irrimediabilmente legate alla mia iniziazione al mistero dei sensi. Avevo otto anni quando la ruvida mano di un pescatore mi mise in bocca un’ovaia di riccio. Quando torno in Cile, cerco sempre di trovare il tempo di andare sulla costa ad assaggiare di nuovi i ricci appena strappati al mare, e ogni volta mi assale lo stesso miscuglio di terrore e fascinazione che ho provato durante quel primo incontro intimo con un uomo. Per me i ricci sono inseparabili da quel pescatore, la borsa scura di frutti di mare che gocciola acqua e il mio risveglio alla sensualità. Gli uomini che sono passati dalla mia vita – non voglio vantarmi, non sono molti – li ricordo così, alcuni per la qualità della loro pelle, altri per il sapore dei loro baci, l’odore dei loro indumenti o il tono dei loro sussurri, e quasi tutti sono associati a un alimento particolare. Il piacere carnale più intenso, goduto senza fretta in un letto disordinato e clandestino, combinazione perfetta di carezze, risate e giochi della mente, sa di baguette, prosciutto, formaggio francese e vino del Reno. Ognuno di questi tesori della cucina fa comparire davanti a me un uomo in particolare, un antico amante che ritorna insistente come un fantasma desiderato a infondere una certa luce malandrina nella mia età matura.

Se c’è una cosa che ammiro in una donna è la capacità di sapersi prendere in giro. Di guardarsi allo specchio, valutare pregi e difetti, e riderci sopra. Di parlare delle cose serie e degli accadimenti della vita tenendo sempre con sé un pizzico di ironia, un tocco di praticità, q.b. di sensualità. Come in una ricetta, i vari ingredienti si mescolano, fino a formare una pietanza che deve sorprendere gli occhi, la bocca, lo Spirito. Perché vivere significa assaporare ogni giorno il gusto della vita. Attraverso tutti i sensi.

A tratti questo libro mi ha anche fatto arrossire, non lo nego – e mi sono guardata intorno per paura di esser colta con le mani nel barattolo della marmellata! -, ma è stato un piacere per l’anima leggerlo e rileggerlo. Adoro Isabel Allende da sempre. I suoi libri hanno accompagnato la mia crescita a tutti i livelli e le storie che sa raccontare mi hanno ammaliato e coinvolto e innamorato.

Questa sua opera, da molti superficialmente criticata, è stata per me invece una positiva rivelazione: completamente inaspettata e imprevedibile, Isabel ha saputo trasmettere alla mia anima la sua “gioia di aver ritrovato il troppo a lungo dimenticato gusto della vita”. Per questo consiglio di leggerlo, anche a chi abbia meno di 50 anni e quel gusto della vita non se lo sia già (o ancora) scordato: perché è un libro divertente, che parla di cibo, di erotismo e di piacere in un modo molto ironico, nascondendo tra le righe una cosa importantissima: anche a 100 anni la magia del piacere (e non solo di un ‘certo tipo’ di piacere!) non sta solo negli ingredienti che si usano, ma nel modo in cui vengono serviti, nella preparazione, nell’atmosfera, nello Spirito che sta dietro a tutto questo.

Con l’augurio che quello Spirito sia sempre presente in tutti voi… polepole

AFRODITA
Isabel Allende
Feltrinelli, 2003, 328 pag.

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