
«Ero l’Arminuta, la ritornata. Parlavo un’altra lingua e non sapevo piú a chi appartenere. La parola mamma si era annidata nella mia gola come un rospo. Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza»
Sai quei libri che t’intrigano a partire dal titolo? Quelli che continuano ad apparirti sugli scaffali della biblioteca, nelle pubblicità sui giornali, sul web e via così? Ecco.
La recensione di L’arminuta, Donatella Di Pietrantonio
L’arminuta era tra quelli. Di solito aspetto che cali l’euforia per certi titoli, quel clamore della pubblicità, del passaparola che può a volte essere frutto di abili giochi commerciali… stavolta ho aspettato meno del solito. E non ho sbagliato a farlo.
– Allora la mamma tua qual è? – ha domandato scoraggiata.
– Ne ho due. Una è tua madre.
Crudo. Se devo definirlo in una parola ecco, è “crudo” quella che lo definisce meglio. Ma poi non basta una sola parola, perché in quella crudezza c’è un infinito di emozioni, di sensi riscoperti e ritrovati, di antichi ricordi e… insomma, non basta una parola.
Non basta, perché l’Arminuta parla di abbandoni. E l’abbandono è devastante, soprattutto quando lo scopri per la prima volta, avendo vissuto fino ad allora una vita calda, tenera, ricca di amore e familiarità, e ti arriva come uno schiaffo in faccia, freddo, con un odore nauseante, con polvere e trascuratezza ovunque intorno. È devastante a tredici anni, perché è un doppio abbandono che arriva quando sei già sotto al fuoco nemico dell’adolescenza, quando hai mille domande, mille perché, mille cambiamenti da affrontare.
Eppure lei, l’arminuta senza nome e data di nascita, ragazzina che si sente un pacco, dimostra forza e coraggio a ritornare, a conoscere la sua famiglia d’origine, la mamma che l’ha abbandonata per prima. E che lei non è mai riuscita a chiamare “mamma”:
“Non l’ho mai chiamata, per anni, Da quando le sono stata restituita, la parola mamma si è annidata nella mia gola come un rospo che non è più saltato fuori. Se dovevo rivolgermi a lei con urgenza, cercavo di catturarne l’attenzione in diversi modi.”
Ma perché questi abbandoni? Di quale colpa grave può essersi macchiata una bambina appena nata per essere subito abbandonata? E cosa può aver fatto dopo, più grande, quando è arrivato il secondo abbandono? E cosa vuol dire vivere una vita normale? In una famiglia normale? E che luogo è una madre?
“Nel tempo ho perso anche quell’idea confusa di normalità e oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza. È vuoto persistente, che conosco ma non supero. Giro la testa a guardarci dentro. Un paesaggio desolato che di notte toglie il sonno e fabbrica incubi nel paese che lascia. La sola madre che non ho mai perduto è quella delle mie paure.“
Ma se non c’è una madre, per i più svariati motivi, umanamente giustificabili oppure no, c’è una sorella, piccola, curiosa e saggia, che salva l’Arminuta dall’abbandono totale, anche da se stessa:
“Mia sorella (Adriana). Come un fiore improbabile, cresciuto su un piccolo grumo di terra attaccato alla roccia. Da lei ho appreso la resistenza. Ora ci somigliamo meno nei tratti, ma è lo stesso il senso che troviamo in questo essere gettate nel mondo. Nella complicità ci siamo salvate.”
L’unica che riesce a darle la dimensione giusta in cui continuare a vivere: la complicità, la solidarietà, tra amiche, sorelle, vicine, donne.
Avevo dentro, oltre la paura, una forza luminosa
Un romanzo complesso per l’argomento che affronta, una storia ruvida, articolata, su cui tornare più volte, perché i suoi significati non si esauriscono certo in una sola lettura. Ci tornerò, sicuramente, perché lo merita.
L’arminuta
Donatella Di Pietrantonio
Einaudi (collana Supercoralli), 2017, pag. 176, € 17,50
ISBN 9788806232108