
Sono nato nel 1924 nella zona di Lindon, Indiana, il genere di cittadina rurale piccola e anonima che una ventina d’anni prima della mia nascita aveva cominciato a duplicarsi per tutto il Midwest in maniera sommessa ma insistente. Voglio dire che la cittadina, per come la ricordo, era eccezionale proprio per la sua mancanza di tratti distintivi.
La recensione de Il popolo degli alberi di Hanya Yanagihara
Il popolo degli alberi è un romanzo particolare, scritto benissimo. Una storia orchestrata quasi come un giallo dove partiamo dalla fine: il dottor Perina, premio Nobel per aver scoperto una rara sindrome che ritarda l’invecchiamento fisico ma non quello mentale, è accusato di abusi verso i figli adottivi. Lo veniamo a sapere attraverso le dichiarazioni dei giornali e dell’avvocato di Perina, non sappiamo gli antefatti, non possiamo ipotizzare nulla.
E poi cominciamo a conoscere il protagonista dagli anni dell’infanzia a Lindon in Indiana, una città rurale che lascerà per studiare medicina all’università.
Arriviamo infine al punto di svolta della vita e della carriera di Perina rappresentato dal viaggio, al seguito di una spedizione di antropologi capitanata dal dottor Tallent, a Ivu’ivu, isola micronesiana depositaria di tradizioni antichissime e sconosciute.
La mia opinione su Il popolo degli alberi di Hanya Yanagihara
L’opera prima di Hanya Yanagihara è un libro pazzesco, un’opera di finzione letteraria straordinaria ispirata alla figura del Dottor Carleton Gajdusek.
I temi affrontati nel romanzo sono molteplici, dall’uso degli animali nei laboratori negli anni’40, alla diatriba tra studioso e scienziato.
Perina rappresenta lo scienziato senza scrupoli disposto a tutto pur di fare la scoperta del secolo. Non esiterà a mentire, frodare, rubare e ingannare pur di avere l’occasione di studiare, approfondire e curare. Tallent al contrario è lo studioso puro, l’antropologo che vuole conoscere per imparare e non per diventare famoso. Tallent vuole imparare dal popolo degli opa’ivu’eke
In qualità di medico,” disse Tallent, “cosa vuole più di ogni cosa? Vuole curare le malattie – vuole eradicare le malattie, prolungare la vita.” Quel che voglio io, però – e le suonerà infantile, ma è in ultima analisi il motivo per cui siamo qui, ed è un interesse condiviso da molti miei colleghi, anche se sono troppo pieni di sé da ammetterlo – è scoprire una società diversa, un popolo diverso, non ancora noto alla civiltà, e, dovrei dire, un popolo che non conosce la civiltà.
Il popolo degli alberi è anche un romanzo molto descrittivo che sa raccontare la natura selvaggia e incontaminata in splendide pagine capaci di rendere quasi palpabile ciò che leggiamo. E bellissime sono anche le pagine dedicate alla tribù degli opa’ivu’eke, alle loro tradizioni e usanze.
Perina è uno dei personaggi più odiosi che vi capiterà di incontrare.
Mai, nemmeno in una pagina, appare sotto una luce benevola. La bravura della Yanagihara è proprio quella di delinearlo attraverso piccole cose all’apparenza prive di significato ma che lo rendono intollerabile al lettore.
Personalmente più andavo avanti nella lettura e più lo detestavo senza in effetti poter dire perché ma trovandolo continuamente e genuinamente orribile.
Il popolo degli alberi è stata una delle mie letture di agosto, l’ho divorato in pochi giorni e mi ha fatto scoprire una scrittura magnetica e un’autrice capace di tenere sulle spine il lettore fino al finale da urlo che lascia letteralmente sconvolti.
Buona lettura.
Il popolo degli alberi
Hanya Yanagihara
Feltrinelli, 2020, p. 448, €. 18,00