Dolorosa soror, Florence Dugas

[Attenzione: alcuni dei brani riportati non sono adatti ad un pubblico non adulto. Se non sei almeno maggiorenne allontanati subito da qui!]

“Nathalie?”.
“Sì?”.
“Davvero ti piace essere picchiata?”.
Lei mi guarda. In controluce i suoi occhi sembrano più scuri del solito.
“Amo il dolore,” mi dice lei “e farmi male. Mi è capitato, diverse volte, da sola davanti allo specchio, di torturarmi con degli aghi, infilandomeli nei seni. E a te non piace?”

Parole crude, non eccessivamente volgari per il registro in cui ci si trova, che raccontano, come in una fredda cronaca, quello che succede davanti ai nostri occhi.

La cronaca di Florence – e proprio di cronaca bisogna parlare, valutando il tipo di linguaggio scelto per raccontare la storia – è in gran parte autobiografica: appena diciannovenne, incontra JP, professore all’università, che le fa scoprire la sua attrazione per la violenza ed il sadismo. Florence ci sbatte in faccia violenze e sangue e baci e carezze e nel frattempo cerca di capire se stessa, analizzandosi:

“Non lo so, sinceramente. Ogni volta mi riprometto di rifiutare, penso che l’ultima volta sia stata davvero l’ultima, e un istante dopo tendo i polsi per farmeli legare, e ho un peso allo stomaco che sparisce con i colpi, piango e supplico di smettere, e nello stesso tempo sono cosciente che un’altra me stessa si inarca in attesa del colpo successivo…
Quando mi frusta non penso a niente – provo solo la sensazione della mia pelle lacerata, vorrei che cessasse e voglio che continui. Ma dopo, quando non sono altro che un ammasso torturato, mille pensieri mi attraversano la mente. E nel dolore c’è un ricordo che riaffiora, e mi sembra ogni volta di poterlo afferrare… non è il ricordo di un dolore fisico. No, è come se la mia pelle ferita fosse la metafora di una sofferenza sorda, nascosta”.
“I tuoi genitori” dice Nathalie.
I miei genitori? Le loro liti furibonde, e io che tremo nella mia cameraUna volta, il rumore dei colpi, le urla. E l’obbligo di scegliere, alla fine. Chi può scegliere fra un amore e un altro?
L’idea mi ha improvvisamente folgorata: che in JP e Nathalie cercassi di ricomporre la coppia originaria – anche se tratto Nathalie da bambina, la maggior parte delle volte. Anche se la punisco. Lo spettro di essere picchiata da mio padre come lui ha picchiato mia madre, come l’ha fatta soffrire, in ogni caso.

Sul suo doloroso percorso di ricerca Florence trova Nathalie che, quanto a vita problematica, sembra proprio batterla: la sua ricerca di violenza è talmente portata all’eccesso che il suo obiettivo finale è darsi la morte.

È evidente come, dietro alla apparente insensibilità dei personaggi descritti, a quella volontà di autopunirsi, di umiliarsi, si celi un mondo di sofferenza e di tristezza, una vita piena di episodi squallidi e di storie infinitamente umilianti.

Mi sollevo sulla punta dei piedi per svitare la maniglia e sbloccare le manette.
Se non l’avessi sostenuta, sarebbe scivolata a terra come una bambola spezzata.
Dolcemente, accompagno la sua caduta sulle ginocchia. Lei scivola in avanti sulle mani intorpidite. Il ventre, i seni, la schiena, le natiche e le cosce sono un unico caos di segni bluastri, di rigonfiamenti confusi, illeggibili.
Mi libero della protesi, la getto per terra, lì dove ho gettato tutto il resto.
Prendo la maschera sul letto, ritorno verso Nathalie, che risollevo mettendola in ginocchio.
Lentamente, le sfilo le catenelle dalle orecchie, dal naso e dai seni, e le lascio appese con tutto il loro peso al ventre.
Le infilo la maschera con difficoltà, ostacolata dalla massa di capelli biondi, i cui riccioli bagnati di sudore spuntano dal cuoio lucido.
Lei è ormai una massa informe, senza viso né occhi, soltanto una bocca. Ansima affannosamente perché la maschera la soffoca, e perché pensava che fosse finita, e ora ha di nuovo paura.
La rimetto in piedi e la riaggancio alla catena.
L’accarezzo di nuovo, è strana la sensazione che mi danno quei rigonfiamenti, che disegnano tutto un paesaggio di valli e ombre sulla sua pelle così bella e candida.

Ho letto Dolorosa Soror alla ricerca di qualcosa di nuovo, per provare ad avvicinarmi alla scrittura erotica in un modo diverso dal solito. Non certo alla ricerca delle volgarità e del pornografico ma di un mondo da me poco conosciuto, quello del piacere per la violenza fisica.

L’opera prima di  Florence Dugas ha destato un grande scalpore e – quasi automaticamente – si è rivelata un gran successo. Chissà perché, verrebbe da dire. Già, chissà perché.

Se quello che cerchi sono le sensazioni forti, probabilmente con una storia del genere le trovi. E probabilmente ci sono tante persone che le cercano, queste sensazioni. Forti.

Io però, qui, preferisco parlare di cosa mi abbia lasciato dal punto di vista delle parole, della storia, un libro del genere. Perché una storia c’è, nonostante tutto: c’è la storia della bambina abbandonata a se stessa dopo la morte del padre e l’alcolismo della madre, costretta a lavorare per dare un futuro almeno alla sorella, troppo più piccola di lei. C’è la storia di una bambina con genitori violenti che ha lasciato tutti per cercare se stessa e ha trovato… già, cosa ha trovato?

Alla fine, sembra quasi che quello che voglia dimostrare questo libro, se ancora non si fosse capito, è che certi tipi di “amore”, in realtà non si possano proprio, in alcun modo, definire “amore”. Che dietro alle mille e mille scuse che vengono portate a loro favore, quegli atti e quello che provocano non siano altro che sofferenza, che si è provata e che si fa provare agli altri in una sorta di vendetta personale contro le brutte esperienze della vita.
Almeno, questo è quello che è parso a me.

Dolorosa Soror
Florence Dugas

ES (collana Classici dell’eros), 2012, pag. 133, € 18,50
ISBN: 978-8895249780

polepole
Polepole è Silvia, lettrice affamata e da poco tempo molto selettiva, geometra, architetto, perenne studente della vita. Sono nata nel 1973, in un soleggiato ultimo giorno di aprile, ho un marito e due figli meravigliosi, che riempiono la mia vita di emozioni belle. Passerei l’intera esistenza sui libri, con tazza di cioccolata fumante al seguito, senza distogliere lo sguardo se non per farmi conquistare dalla copertina di un altro libro.

2 COMMENTS

  1. Ho letto la tua recensione tutta d’un fiato…e ho capito che un libro così io non potrei leggerlo mai…Troppo dolore, troppo poco amore per sé stessi, troppo desiderio di morte, e non parlo di quella fisica. Credo che mi porterei tutta quella sofferenza nelle mie giornate e non ce la posso fare, mi basta la mia 🙂 Chapeau a te!

    • Ti rendi conto? E sono la stessa persona che non è riuscita a leggere Lolita. Sì, c’è la violenza, c’è la voglia di morte e tutto quello che le gira intorno. Ci sono persone adulte, però. Che sono mature (mah!?) e responsabili delle loro scelte. Forse.
      Lolita era una bambina.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here