“Il film non c’entra. E non c’entrano neppure le case che toccano il cielo, altre fantasie. Se il vecchio non ti avesse mandata, in America, prima o poi ci saresti andata da te. Da quando ti conosco non fai che parlarne: sembra che tu abbia un appuntamento, laggiù. Peggio: sembri un Ulisse che va ad espugnare le mura di Troia. Ma non sei Ulisse, sei Penelope. Lo vuoi capire, si o no? Dovresti tesser la tela, non andare alla guerra. Lo vuoi capire si, o no, che la donna non è un uomo?”
Ma Giò non vuole capirlo.
Perchè lei si sente davvero come Ulisse.
Lei non è proprio il tipo che resta a casa a tessere la tela in attesa del suo amore perduto.
Lei, quell’amore incontrato a 12 anni durante la guerra e creduto morto, ce l’ha sempre avuto nel cuore.
Ed è restato talmente tanto radicato in lei che non è stata capace di amare, con la stessa forza, nessun altro.
L’occasione per andare in America le viene offerta su un piatto d’argento: dovrà scrivere una sceneggiatura ambientata a New York.
Ed è proprio li che il suo passato, quello che credeva morto, ritorna da lei.
Ma Giò imparerà che non tutto è come sembra e che in una città spumeggiante e misteriosa come New York tutti, in fondo, recitano un ruolo prestabilito.
Penelope alla guerra è un romanzo un po’ atipico rispetto agli altri scritti della Fallaci.
Come viene scritto sulla quarta di copertina Giò potrebbe essere vista benissimo come quella “non madre” protagonista di Lettera a un bambino mai nato.
Perchè Giò è una donna indipendente e decisamente più avanti rispetto alle donne del suo tempo.
Una che non resta a casa a compiacere l’uomo.
Ma che si da da fare per trovare il suo posto nel mondo.
E’, in poche parole, un inno vivente all’indipendenza.
Che si ottiene anche sbagliando.
Penelope alla guerra.
Autore: Oriana Fallaci
BUR, 1976, 307 pag.
ISBN 9788817150132