Guest Post corposo e ricco di spunti di riflessione (e perchè no? di dibattito).
Perchè la tematica è spinosa e tocca tutti.
Ma soprattutto perchè l’ospite di oggi è The Queen Father, che non si lascia certo intimorire dall’affrontare temi “scomodi” o poco “popolari”.
Insomma, in questo intervento si parla di violenza quotidiana, che ci viene proposta in modo martellante dai media.
Un argomento che TQF aveva già affrontato sul suo blog, in un bellissimo post arrabbiato dal titolo “Due Immagini”.
E in questo articolo troverete anche le due immagini utilizzate allora.
Buona lettura!
Il Guest Post.
Se dico violenza sicuramente vi verrà in mente una delle seguenti immagini:
- Un bambino picchiato
- Una donna stuprata
- Un attacco ad un nero/gay/anziano/ebreo da parte di teppisti
- Lo scontro fisico tra due o piú individui per qualsivoglia motivo.
Violenza spicciola, perpetrata dal più forte ai danni del più debole.
Quella da condannare.
Quella condannata.
Quella ovvia.
Guardando indietro nel tempo, potremmo congratularci con noi stessi e con l’umanità per i grandi passi avanti fatti nell’ambito di diritti umani e legislatura.
Si sa, secoli fa la vita non era un bene tanto prezioso quanto lo è oggi ed il mondo era un posto brutale.
Eppure, per quanto al sicuro potremmo sentirci, dall’alto della nostra conquistata ineccepibilità morale, siamo tutti vittime di quello che io chiamo desensibilizzazione alla violenza e questo grazie a telegiornali, films, riviste che alimentano il voyeurismo che dilaga nella nostra società.
Di questo fenomeno è prova il successo di tutti i reality show che impazzano sul pianeta:
dalla tediosa Isola dei Famosi di nostrana produzione, a Fear Factor, lo show made in USA che mostra a cosa alcune persone riescano a spingersi per amor di denaro.
Ci piace l’idea di starcene in pantofole sul divano, a distanza di sicurezza, a guardare le risse, i battibecchi, gli stunts piú assurdi, riderne e giudicarne i protagonisti.
Siamo quasi arrivati al punto di non avvertire più lo shock da notiziari pieni di cadaveri, di immagini fino a vent’anni fa ritenute improponibili dalla censura.
Cadaveri di bambini in mezzo alla strada, lembi di corpi umani in mezzo alle macerie, esecuzioni riprese in High Definition.
Lo spettacolo terrificante di tutta quella gente che si lanciava nel vuoto in diretta durante il collasso delle Torri Gemelle, in quell’incubo che fu l’11 Settembre 2001.
Vi ricordo poi che nel 1997, c’erano schiere di giornali pronti a pagare milioni di dollari per le foto del corpo di Lady Diana ancora imprigionato nell’abitacolo di quella tragica automobile.
Più recentemente, si è gridato allo scandalo quando gli USA hanno rifiutato di distribuire ai media le immagini del cadavere di Osama Bin Laden: volevamo tutti vederlo morto in una pozzanghera di sangue.
Me incluso.
A rincarare la dose, i film sempre piú espliciti, devoti al potere pubblicitario dello shock, dove la violenza diventa il valore aggiunto di qualsiasi programma, la catalizzatrice dell’ interesse del pubblico e, di conseguenza, la principale fonte di incassi.
Degni di nota i films The Hunger Games (2012) tratto dall’omonimo libro dell’americana Suzanne Collins e Battle Royale (2000) ispirato largamente dal romanzo del giapponese Koushun Takami.
Entrambe esplorano la fascinazione ‘panem et circenses’ delle masse con la violenza.
Poi con gli anni ’90 c’è stato l’avvento di videogames sempre piú cruenti e idealmente vietati ai minori di 18 anni, che invariabilmente finiscono nelle consoles di ragazzini pre-pubescenti.
Notevole è lo sforzo degli ideatori di Grand Theft Auto III, che danno al giocatore la possibilità di arrostire prostitute col lanciafiamme o indulgere in risse sanguinarie di massa dal comfort del loro divano.
Ricordo con nostalgia quando da bambini ci si rincorreva al parco facendo BANG! BANG! con la mano, imitando la pistola…
Ma si inizia cosí.
Un lento processo di desensibilizzazione che passa attraverso il gioco, la politica, perfino attraverso la religione.
Si arriva a grandi controsensi che passano pressoché inosservati, come il Papa che benedice le truppe, o il generale che in battaglia magari ha massacrato centinaia di nemici e va a fare la comunione ogni domenica, mentre il divorziato, padre esemplare e cittadino modello si vede sbattuta la porta in faccia.
Oppure il fatto che la stessa chiesa si adoperi con zelo ad ostacolare e opporre il matrimonio gay mentre, in una nota inviata alla Conferenza episcopale americana nel giugno del 2004, Ratzinger parla della ‘necessità’ di dover ricorrere alla pena di morte ed alle armi in particolari circostanze.
A volte è necessario uccidere, ma è SEMPRE un abominio che due uomini o due donne vogliano sposarsi. Amen.
Voglio dire, sono in tanti quelli che preferirebbero vedere il proprio figlio vittorioso, col mitra in mano ed il cadavere del nemico sotto al piede, piuttosto che vittorioso all’altare, mentre sposa un altro uomo, circondato da amici e parenti.
Sbaglio?
Capisco che, nel caso delle forze armate, la violenza abbia dei fini puramente pratici, cosí come ogni conflitto militare.
Si tratta però sempre di violenza ed abbiamo il dovere di non dimenticarcelo, come abbiamo il dovere di ricordarci che il diritto di vivere di ogni essere umano è tanto sacro quanto quello di essere felice, solo che siamo più preparati a fare delle eccezioni per condonare la violenza piuttosto che l’amore e, con le nostre lauree, il nostro vivere cosmopolita, il nostro essere cittadini del mondo, ci ritroviamo nel 2012 ad essere più scioccati da due uomini che si baciano per strada, piuttosto che dall’ennesimo episodio di violenza che riempie i nostri schermi.
TQF xx
limpido e netto questo post. mi ha lasciata senza parole la foto del Papa con Pinochet. la violenza secondo me è generata anche dalla paura del diverso. io ad esempio leggo negli occhi degli altri quel genere di paura quando mi vedono camminare insieme alla stampella, e invece vorresti leggere in quello sguardo almeno un briciolo di empatia.
Grazie per questo commento leucosia!
Il tema di questo mese è stato pensato proprio per dare voce a chiunque ha qualcosa da dire.
E sono felice di aver visto pubblicati su Zebuk guestpost così diversi tra loro eppure così profondi.
Ed è importante anche ricevere commenti come i tuoi.
Perchè vuol dire che, nonostante tutto quello che si vede in giro, ci sono persone che no, non hanno paura.
Un abbraccio!