
Non so più quello che è successo nel palazzo, non ricordo di essere uscito di lì quando è finito tutto, di essere andato via correndo, perché nella mia testa tutto correva. So di essermi precipitato giù per la scale nella notte. Era buio e si sentiva la pioggia sul tetto di plastica lassù in alto, sul soffitto, al centro della scala, nel pozzo luce, la pioggia che picchiava e non so nemmeno più se correvo, né se vedevo ciò che potevo vedere perché nella mia testa tutto correva, ma io camminavo, mi guardavo i piedi, tutto così in fretta e vedevo nelle canalette l’acqua che scorreva e trasportava le cartacce e le cicche di sigaretta, ho pensato, poco fa non pioveva, quanto tempo è passato, non so, non volevo sapere l’ora, non ho neanche guardato i parchimetri.
Ancora una volta ci troviamo a parlare di violenza sulle donne. Lo abbiamo fatto non troppo tempo fa, raccontando un libro scritto a più mani, tutte femminili, Chiamarlo amore non si può, dedicato alle ragazze.
Torniamo a farlo oggi, 25 novembre 2014, nella Giornata contro la violenza sulle donne.
Stavolta abbiamo scelto le parole scritte da un uomo, Laurent Mauvignier, che nel suo libro – I passanti – racconta un episodio di violenza da più punti di vista, ricostruendo quello che è accaduto, le cause, le storie dei protagonisti.
Meglio lasciar spazio alle parole, meglio leggerle, farle pesare il più possibile sulla propria coscienza, meglio leggere e pensare a quanto tutto questo non debba accadere più, mai più.
Catherine, se sapessi com’è dura sentirti dire da tutti che ti capiscono, quando ti guardano come una strana bestia morta che sta marcendo lì di fronte a loro, quando non dicono niente e restano seduti davanti a te tutto un pomeriggio, e vorresti mandarli a quel paese, con la loro gentilezza e la loro compassione e vorrei dire loro che me ne frego della carezze e dei ripòsati, ma cosa possono capire tutti quanti, quando sento ancora, settimane dopo, quelle dita nella mia pelle, quel respiro tra i capelli, sempre quell’odore su di me quando mi impediscono di lavarmi le mani, come se dovessi perdonarli di avermi legato le mani perché non le passi dieci o venti volte all’ora sotto l’acqua, o quando vedo mia madre avvilirsi e distogliere lo sguardo da me solo perché voglio che mi taglino i capelli, o che me li lavino, con quella vocina mielosa che assumono per dirmi, ma te li abbiamo lavati stamane, tesoro.
Sto leggendo questo libro, è tremendo trovarsi lì mentre tutto accade e non poter fare niente. Continuiamo a dire NO! Noi non abbiamo paura e denunciamo!
Nei prossimi giorni vi promettiamo di raccontarvi il libro di Mauvignier nei dettagli, per ora ascoltate solo queste parole, ci sono volte in cui basta davvero poco per evitare il peggio:
[…] Io avevo le cuffie e cantavo. Per questo non ho sentito nulla. Ho visto il suo corpo e i vestiti strappati e ho visto i pugni chiusi e contratti come il corpo e la bocca che si era morsa. Ho visto tutto questo, e ho sentito come un piccolo respiro nella gola di lei, come un rumore che si spegneva dentro, quasi il rumore della carta da lucido. Sentivo il suo respiro, ma ho creduto fosse morta. […]
Estratti dal libro I passanti, Laurent Mauvignier, per gentile concessione di Del Vecchio Editore.
[image credits: iltamtam.it]
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