Bello quando chi sta dall’altra parte del microfono accetta le tue proposte un po’ strampalate! Bello quando è disponibile a mettersi in gioco, sebbene non abbia di fronte un inviato speciale di qualche rivista famosa…
Oggi Zebuk parte per un bellissimo viaggio nello spazio e nella fantascienza: si parte insieme a Francesco Troccoli, autore di Ferro Sette, di cui abbiamo parlato qui. Lo staff ha proposto a Francesco una delle nostre “interviste creative” e lui ha accettato al volo. Preparatevi agli effetti speciali… 😉
Blogger tra i più attivi, Francesco aveva un futuro in una grande casa farmaceutica. Poi…
“[…] Dopo dodici anni nel marketing farmaceutico gli viene il dubbio che la cosa non faccia per lui, e viene fuori dal tunnel. Oggi si dedica alla traduzione, al doppiaggio e alla scrittura di genere fantastico. […]”
Francesco è un blogger, uno dei più attivi. Ha lasciato una brillante carriera presso una grande casa farmaceutica.
I perché “ufficiali” li possiamo leggere nella tua presentazione sul blog. Qual è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso? L’istante in cui hai deciso di lasciare un lavoro apparentemente sicuro per tuffarti nell’ignoto universo della scrittura?
Be’, visto che mi ci fai pensare, rammento in particolare un giorno di dicembre 2007. Ero seduto alla mia scrivania, nella mia ex azienda, che allora versava in uno stato di crisi nera. Dagli USA, ogni giorno, fioccavano e-mail che indicavano o chiarivano le procedure da seguire per richiedere l’incentivo all’esodo. I dipendenti potevano usufruirne; io però ero dirigente e quindi nel mio caso il diritto all’incentivo non era affatto scontato. Potevo fare spallucce e continuare a lavorare, oppure scendere di un piano e informarmi presso la Direzione del Personale sulla disponibilità a concederlo anche a me, nonostante il mio inquadramento. Così facendo, qualora me lo avessero negato, avrei comunque “bruciato” la mia immagine di manager in carriera in quell’azienda. Insomma era un grosso rischio. Allora pensai a me, mi immaginai a dieci anni da quell’istante, ancora più ingrigito nell’umore e nell’aspetto di quanto non fossi già, nell’ennesima riunione internazionale di marketing. Ebbi un moto di repulsione e scesi le scale per andare a informarmi. Andò bene, furono molto corretti e mi accordarono l’incentivo. Firmai le dimissioni dopo due ore e uscii dall’azienda dopo tre mesi, impallidendo all’idea di una libertà più grande di tutta la mia vita passata, ma… sollevato, addirittura felice.
Pensavo: “avrò un mucchio di tempo per scrivere.”
Proprio come i minatori di Ferro Sette, che ancora doveva essere concepito, ero finalmente nelle condizioni di riprendermi il mio tempo.
Da dove nasce la passione per la fantascienza? A cosa giocava Francesco bambino?
Da bambino, Francesco, quasi ogni giorno tirava fuori dall’armadio della sua cameretta due basi spaziali costruite con il Lego (non quello ipersofisticato di oggi, ma l’indimenticabile “basic” dei primi tempi) e relativi mezzi volanti e di superficie assemblati con cura, brick dopo brick, e poi simulava apocalittici scontri fra due schieramenti avversari (senza distinzione di buoni e cattivi), che talora duravano giorni, con tanto di strategia, storia retrostante e personaggi. Un giorno, un mio dolce compagno di scuola aprì l’armadio e ruppe tutto: le basi spaziali, i veicoli, le astronavi. Fu per invidia, immagino. Ci restai molto male.
Forse allora capii quanto la creatività è indispensabile per sentirsi vivi. E quanta invidia possa destare in chi non riesce a ritrovarsela.
Negli anni successivi le pile di Urania sul comodino paterno e i capolavori del cinema, come 2001 Odissea nello Spazio, fecero il resto.
Devo ammettere che Ferro Sette non mi ha conquistato da subito, probabilmente perché faticavo ad entrare negli ingranaggi della storia. Poi, però, continuando a leggere, mi è “entrato in circolo” e mi son trovata immersa nel suo universo.
Qual è l’errore, l’imperfezione, se c’è, che credi di aver commesso in questo libro?
Be’, da lettrice attenta mi sembra che la risposta sia già nella tua domanda.
La parte iniziale di Ferro Sette è stata mutuata quasi integralmente dal racconto dal quale il romanzo è stato sviluppato. Di conseguenza, il suo ritmo non è ben allineato con il prosieguo della narrazione. I capitoli iniziali (in particolare i primi due) avrebbero forse dovuto essere riscritti interamente, anche perché la stesura del racconto è avvenuta un anno prima che iniziassi a prolungarlo per trarne un romanzo, il che vuol dire che c’è probabilmente un cambiamento di stile, di fluidità, che mi stai confermando che non possa non notarsi.
Tobruk Ramarren è un personaggio con un carattere forte, pur avendo tutte le debolezze di un uomo normale. Mi sono affezionata a lui più di ogni altro, ma ci sono anche altri personaggi che conquistano per le loro qualità.
Qual è, invece, il personaggio minore a cui vorresti dare una possibilità in più? Quello che merita una promozione in un eventuale seguito? (è già previsto un seguito, vero?)
Nonostante Ferro Sette sia un romanzo nato per essere autosufficiente e autoconclusivo, il seguito è previsto. Anzi è già quasi pronto.
Il mio personaggio preferito è Laureel, lo speziale, una figura paterna un po’ sopra le righe, che nel secondo romanzo assumerà un ruolo determinante, anche se non dal principio.
Se hai a disposizione “un Laureel” fra le pagine, puoi fargli fare quel che vuoi. Lo trovo plasmabile, fluido, adatto a qualsiasi scenario.
Leggendo Ferro Sette mi son resa conto che riuscivo a vedere con una chiarezza impressionante le immagini che descrivevi.
Hai mai pensato di trasportare Tobruk su uno schermo? E – ammettendo di poterlo fare – c’è qualcuno che vedresti bene nei suoi panni?
Sono lieto che ciò sia accaduto, e ti confido che me lo hanno detto in tanti. Dipendesse da me, lo trasporterei anche sull’olovisione intergalattica.
Credo che per trasporre una storia di “hard science fiction” come questa in una versione cinematografica servirebbe come minimo un Ridley Scott.
E’ una battuta ovviamente, ma l’ambientazione richiederebbe un enorme e costosissimo sforzo di credibilità. A meno di non inventarsi qualche stratagemma artistico, la vedo dura. Ma chissà!
Uhm, nei suoi panni, visto che siamo in mood holliwoodiano, vedrei bene il Kurt Russell di 1997: Fuga da New York.
Ammetto di essermi avvicinata alla fantascienza grazie a Ferro Sette. Da non particolarmente appassionata, conoscevo solo qualche fondamentale ma non avevo mai provato ad approfondire. Quali consigli daresti a chi vuole avvicinarsi ad un genere che in molti credono ‘specializzato’?
Amo dire che la fantascienza è degna di tutti i lettori e tutti i lettori sono degni di fantascienza.
Sono molti i romanzi e i racconti che affrontano temi più o meno importanti dal punto di vista sociale, culturale, antropologico, o che semplicemente descrivono storie profondamente umane, nelle quali chiunque non fatica a identificarsi, con il vantaggio dell’elevato grado di libertà e di fantasia che solo il genere permette.
Il mio consiglio è cercare autrici e autori come Ursula Le Guin o Robert Heinlein, nei quali, come in tantissima ottima fantascienza, c’è anche tutto questo.
E non dimentichiamo che le varie declinazioni del fantastico sono presenti in classici italiani come Buzzati o Calvino [ndr: sono più che d’accordo, provate ad ascoltare Francesco che legge un capitolo de Il Barone Rampante]. L’etichetta, che nasce per trovare le cose, spesso in realtà ne causa la perdita. Così avviene, piaccia o no, con la dicitura “Fantascienza”. Sembra quasi che i lettori siano spaventati da questa parola, quando in realtà io credo assai poco all’esistenza di un limite preciso fra genere e mainstream.
Vuoi un esempio convincente? Fra le più grandi opere di fantascienza mai scritte ci sono senza dubbio La Divina Commedia di Dante Alighieri e l’Odissea di Omero.
Ho letto sul blog la tua intervista a Audrey Niffenegger, l’autrice di “La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo”, libro che ho letto e che mi ha particolarmente colpito. Ne parliamo?
E poi, cosa c’è in questo momento sul comodino di Francesco?
Ecco, questo è un ottimo esempio! In quell’intervista Audrey dichiara che “la fantascienza può fare tutto quel che fa la letteratura mainstream e anche qualcosa di più”.
Il romanzo che citi, in effetti, è pura fantascienza. Ma il suo cardine, come per qualsiasi buon romanzo, non è la sua appartenenza a un genere strutturato, bensì il dramma del protagonista, un uomo che ha una sorta di crono-fobia, una patologia che lo scaraventa nel suo passato o nel futuro proprio nei momenti di maggiore tensione emotiva, che sono poi le fasi cruciali della sua vita, come ad esempio il suo matrimonio. Non ti pare una rappresentazione efficacissima delle difficoltà di noi tutti a “starci”, a vivere con intensità i momenti più importanti dell’esistenza?
E la seconda domanda è: senza un espediente fantascientifico come questo, l’autrice avrebbe raggiunto la stessa resa drammatica? Onestamente, penso di no.
Il fantastico, se ben declinato, se scritto con l’intenzione di parlare a tutti, permette una creatività che non ha pari.
Dimenticavo la parte sul comodino! Sul mio comodino in questo momento c’è un ottimo esempio di FS italiana: “Il Nido della Fenice” di Luigi De Pascalis. Godibilissimo, lo consiglio.
Eccoci ora alla domanda creativa. Siamo ancora in un futuro remoto. Magari un mondo parallelo a quello di Ferro Sette. Questa volta, però, la dittatura è quella dei Libri. Gli unici che sono rimasti, gli unici superstiti stampati su carta. Solo loro. Che cosa succede? Chi sono i personaggi che salveranno l’umanità da questi libri-padroni-dell’universo? E come faranno?
L’idea di una “dittatura dei Libri” evoca scenari cupi. Roghi e nazismo. Brrr.
Ma se una dittatura dei Libri potesse esistere nel senso fantastico che ipotizzi, la prima ribellione sarebbe guidata da alcune delle loro parole (o dai loro ideogrammi, a seconda dei casi). Aggettivi, sostantivi, passati remoti e futuri semplici, esclamazioni, interiezioni, preposizioni, si organizzerebbero in frasi nuove, alcuni capitoli assemblerebbero segreti paragrafi ribelli, e alla fine, presto o tardi, dopo uno scontro all’ultima sillaba tutti i dittatori si estinguerebbero.
E sarebbero libri nuovi. Puliti e democratici. E se necessario, pur di non farsi scoprire, i testi ribelli creerebbero nuovi fonemi, nuovi segni e nuove lingue.
Ovunque c’è repressione ci sarà ribellione. E’ la nostra parte più sana che ce lo impone. Sempre.
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Come ho scritto all’inizio di questo viaggio fantastico? Bello quando chi sta dall’altra parte del microfono accetta le tue proposte un po’ strampalate! Bello quando è disponibile a mettersi in gioco…
Quella di oggi con Francesco è stata una delle chiacchierate più coinvolgenti, almeno per me. Le immagini di cui parlavo, quelle che ti si materializzano davanti agli occhi, continuano a muoversi e a danzare e a comunicare la loro storia…
A Francesco il Grazie di tutto lo Staff di Zebuk e l’appuntamento per il prossimo anno, quando vedrà la luce il secondo capitolo della storia!
Grazie a Zebuk! Una serie di domande tanto originali quanto gradite.
Ai laik it. 🙂