A passeggio tra la poesia : La poetica cavia di se stessa, Maria Grazia Di Biagio

 

Fosca oggi ha trovato un modo molto originale di parlarci di poesia: si è incontrata con l’autrice  e l’ha fatta parlare di due delle sue creazioni.

E noi, con molto piacere, ci sediamo tranquilli e facciamo da pubblico.

Buona lettura!

 

 

 

  • Maria Grazia Di Biagio è nata a Teramo. Laureata in lingue e letterature straniere all’Università G. D’Annunzio di Pescara, dove attualmente vive e lavora, ha contribuito con la sua “Tesi sul Dialetto Vallese di Rimella”, alla stesura di un vocabolario a salvaguardia dei dialetti Walser in Piemonte. Una sua silloge poetica dal titolo “Blue Songs” è stata semifinalista al Concorso “Ilmioesordio” della Feltrinelli e si è classificata al 3° posto nella I Edizione del Concorso Nazionale “Il lancio della penna” di Bari. Suoi testi sono presenti in numerose antologie. Per Bel-Ami Ed. è uscito nel 2012 “Nella disarmonia dell’inatteso”, silloge poetica prefata da Dante Maffìa. Come ogni donna ha tante mani, una la usa per scrivere.
maria grazia di biagio by myriam benedetto
maria grazia di biagio by myriam benedetto

 

Partiamo dalla tua biografia che trovo sul sito della casa editrice, Maria Grazia; leggendo il finale, a me viene da pensare a te come alla divinità Avalokiteśvara con infinite braccia, una per ogni ruolo che attualmente compete alle donne.
Ed una di quelle mani scrive poesia, a mio parere, in modo delizioso.
Ma la mia curiosità riguarda, indirettamente, le restanti (infinito meno una) mani: cosa succede mentre scrivi, cosa fanno le altre mani e quali sono gli eventi che ti portano a scrivere? Poiché qui su Zebuk facciamo “poesia for dummies”, io esulerei dai discorsi universali sulla poesia e le donne.
Non abbiamo ancora parlato, se non ironicamente in una “ricetta liberata”, di come sia personale il processo creativo che porta al verso e delle modalità secondo cui avviene.
Ho scelto due poesie a mio parere particolarmente significative del tuo ultimo libro e vorrei che ci spiegassi la genesi.
La prima è “Quasi”.

 

Calda di luce
e del tubare dei colombi
l’aria si accorge
che è quasi primavera.
Il sole arriva prima
e si trattiene
un po’ di più la sera
non per amore
di quest’angolo di terra.
E’ solo che
la Terra gira
e quasi sembra amore.

In questa poesia io sono stata colpita dalla tenerezza degli ultimi versi “non per amore | di quest’angolo di terra. | E’ solo che | la Terra gira” che fa passare da un possibile personale ad un universale perfetto nella sua imperturbabilità.
Mi piacerebbe conoscere il “dietro le quinte” di questa poesia per poter condividere coi lettori l’idea che nel quotidiano di ciascuno di noi esistano momenti condivisibilie che, se guardati con occhi giusti, possano diventare versi.

 

[MARIA GRAZIA DI BIAGIO]
In realtà ciascuno di noi ha tante vite e tante mani che ci vorrebbe una vita a raccontarle tutte. Prima di diventare madre lavoravo a tempo pieno nell’agenzia investigativa di mio marito, già, chi l’avrebbe detto, una detective-poeta, suona strano. Infatti lo sanno in pochi, il mio “lui” è, per ovvie ragioni, una persona molto riservata e preferisce tenere separato il mio nome dalla sua professione (non mi ha dato nemmeno l’amicizia su facebook!). Ho “investigato” con le nausee e col pancione fino all’arrivo dell’unico figlio nato, dopodiché ci sono stati i tuoi “panni e pannolini”, Fosca. Mi ritrovo in toto, in quella poesia. È davvero difficile, al giorno d’oggi, incastrare tutto alla perfezione: il lavoro, la famiglia, la casa, la passione per la letteratura, resistere alla tentazione del “giardino immobile che chiama” di là dalla finestra. A volte, tutte queste mani s’intrecciano e bisogna tralasciare qualcosa,scegliere dando delle priorità.
In genere mentre scrivo o penso a quello che voglio scrivere, rispondo al telefono, controllo la documentazione da consegnare a un cliente, invio una mail, faccio da mangiare, le coccole alla gatta, mi sincero che mio figlio non faccia finta di studiare… cose normali.
Cosa mi porti a scrivere, non  lo so, Fosca, può essere qualunque cosa, la cosiddetta ispirazione la puoi incontrare anche al supermercato o mentre lavi i piatti, viene quando non la cerco, che ho altro da fare, me lo fa apposta, credo.
Ma veniamo a “Quasi”.
In ogni poesia coesistono diversi gradi di lettura, anzi, prima ancora, diversi gradi di stesura. Mi pare impossibile non partire da un sentire personale se si vuole giungere ad un sentire universalmente o almeno in parte condivisibile. Chi scrive è sempre la cavia di se stesso, deve sperimentare su di sé qualunque emozione, si deve scavare, analizzare in quanto Uomo simile agli altri, ma non sto inventando niente, lo diceva già Socrate, fino a Caproni che paragonava il poeta a “un minatore che scava fino a trovare un fondo nel proprio io, comune a tutti gli uomini, e scopre gli altri in se stesso”. Quando scrivo parto da questo assunto, non scrivo per farmi capire o compatire, ma riporto quello che ho capito di me e quindi degli altri, o almeno ci provo.
“Quasi” nasce da un profondo, umanissimo senso di solitudine personale; a chi non è capitato almeno una volta nella vita? Mi sentivo poco amata. Una riflessione innescata e amplificata da un pomeriggio di primavera, quando la realtà circostante appare come investita da uno stato di grazia, un’armonia consolante che pare frutto di una intenzione divina, un gesto d’amore gratuito; invece è semplicemente la conseguenza del moto di rotazione terrestre e noi che ne godiamo non siamo privilegiati, ma creature come le altre che si trovano in quel determinato frangente su quello spicchio di Terra baciato dal sole. Non è pessimismo, è pura constatazione di un dato che potrei definire indifferenza cosmica. Non la intendere come una condizione disperante, semplicemente, rinuncio alla collocazione rassicurante che mi offre la filosofia antropocentrica e prendo atto della possibilità che Darwin avesse ragione, mi metto al sole, finché c’è, con le altre creature casuali del pianeta. Cerco il mio senso da un’altra prospettiva.

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La seconda è “Imperfetta”: in questa poesia non riesco ad estrapolare nessun verso “cardine” su cui interrogarti, è un tutt’uno che sta in piedi dritto e perfetto solamente intero. L’idea del passaggio dall’immensamente grande dello spazio cosmico (che vede la Terra piccola in sottointeso oltre che bella) alla filigrana quasi neurochirurgica dell’orefice, mette in una posizione di perfezione (altro che imperfetta, mero tempo verbale!) la protagonista immortale (e immortalata) dei versi.

Non vedo l’ora che arrivi domani
perché ogni giorno divento più bella
come la Terra nella nostalgia dell’astronauta,
la filigrana nel pensiero dell’orefice.
Sono imperfetta e sono anche futura
nell’idea pura, un’intenzione
prima che si tocchi la materia.
Se mi terrai così, presente e vaga
quando morirò sarò stupenda
e resterò immortale tuttavia
come un’utopia lasciata al tempo.

Ci racconti anche qui il tuo processo creativo? E’ differente dal precedente?

 

[MARIA GRAZIA DI BIAGIO]

Oh, sì, la genesi di “Imperfetta” è totalmente diversa da quella di “Quasi”. Diciamo che se la prima è stata concepita in modo “naturale” la seconda è nata in “provetta”. Il primo verso è una frase riportata a piè pari da un film che stavo guardando una sera, alla TV. “Non vedo l’ora che arrivi domani”. Razionalmente è preferibile non avere fretta di andare verso il futuro, è un voler invecchiare, passare più velocemente per questa vita.
In quale dimensione si può desiderare che arrivi il futuro senza il timore di invecchiare? In un tempo passato, l’imperfetto in questo caso, nella memoria di chi ci amava e ci ricorda belle,  giovani, migliori di come siamo, e nell’immaginazione, dove tutto è possibile e perfetto. Le imperfezioni, i difetti dileguano nel ricordo e non esistono ancora nel progetto, la realtà della materia, invece, è un’altra cosa. Quando l’astronauta è nello Spazio, vede la Terra così incantevole, poi al ritorno ritrova le bollette da pagare, il traffico, una situazione politica disastrosa…Così per l’orafo, quando ha in mente un gioiello, lo immagina perfetto, più bello di come magari sarà una volta realizzato e probabilmente sarà indossato da una donna brutta e facoltosa che non gli renderà giustizia. Sostanzialmente, quella frase arrivata per caso dallo schermo mi ha portato a sperare che chi mi ha voluto bene mi ricordi così com’ero in quel punto del tempo che abbiamo condiviso e che resta immutabile come un fermo immagine. Da questo la similitudine con l’utopia, il non luogo, il luogo felice teorizzato dal pensiero filosofico, che inevitabilmente si corrompe se l’uomo cerca di realizzarlo, pertanto è bene lo si lasci alla perfezione del pensiero inattuato.

 

**Ad agosto questa nostra rubrica poetica si prenderà una pausa: tutti pronti a settembre con nuovi articoli molto interessanti. Buone vacanze!

FOSCA MASSUCCO è nata a Cuneo e vive vicino ad Asti. Fisico Acustico e Tecnico del Suono, moglie del jazzista e compositore ENRICO FAZIO. A marzo 2013 è stata pubblicata la sua raccolta di poesie “L’OCCHIO E IL MIRINO” Ed. L’Arcolaio.

3 COMMENTS

  1. Desidero ringraziare pubblicamente Fosca Massucco per avermi offerto l’occasione di aprirmi in modo così “trasparente”. Non ci ero mai riuscita, fino ad ora, e credevo di non esserne capace. Parlare di me mi imbarazza, ma la spontaneità di Fosca è talmente contagiosa che è riuscita a tirarmi fuori cose che non avevo mai detto in pubblico.
    Ringrazio di cuore la redazione di Zebuk per la generosa ospitalità.
    Sono lusingata e commossa.
    Maria Grazia

  2. Ecco, la prima cosa che mi balza in mente è una domanda: come faranno Fosca e Maria Grazia – con infinite braccia capaci di mutare volenti o nolenti il mondo al loro tocco – a pensare che chi le ama poeticamente possa non avere inciso nel cuore la loro immagine immutabile di dee come Avalokiteśvara?! Le unisce una filigrana preziosa: questa poesia di ironia e luce. Io ho iniziato già ad attingervi. Grazie.

    • Grazie, cara Maria Grazia, per l’affetto e per aver messo in luce un aspetto che, per certi versi, si ritrova nella poetica di Fosca e nella mia e che ritengo importante: una ironia sottile e un po’ amara che qualcuno potrebbe scambiare per superficialità, ma è frutto di una ruminazione di stati d’animo, necessaria al passaggio dal particolare al generale. Sulla deità… personalmente preferisco essere mortale, avere una scadenza ignota aiuta a vivere più intensamente!

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