Due chiacchiere con Patrick Trentini

Oggi intervistiamo Patrick Trentini, autore di A volte corro piano. 

Ti va di presentarti ai nostri lettori e raccontarti un po’?
Sono un pianista, svolgo questa professione da oltre vent’anni. Da qualche mese qualcuno ha cominciato anche a chiamarmi “scrittore”, mentre per passione corro di continuo macinando chilometri sull’asfalto. Completa il “quadro” un amore per le arti marziali che mi porta a praticare lo Yoseikan Budo e il Judo. Tra i miei sogni c’è la giornata di trentasei ore.

A volte corro piano è il tuo primo romanzo e ha avuto un buon riscontro. Come è nata l’idea di scrivere?
Diciamo che affiancando al mestiere di pianista quello di compositore sono da sempre stato abituato a “raccontare”, quindi la scrittura non è affatto una novità nel mio bagaglio. Questa volta ho semplicemente scelto di cambiare “mezzo”: dopo anni passati a descrivere con le note ho scelto di farlo anche con le parole, e devo dire che per la mia esperienza le differenze sono davvero minime.

Ti aspettavi che il libro piacesse così tanto?
Non posso nascondere di aver pensato il libro anche per il pubblico, come faccio sempre con le mie musiche. Non sono un autore che scrive per sé stesso, o quantomeno non soltanto, e ci tengo a realizzare prodotti che incontrino – ovviamente – il gradimento di chi li acquista, essendo la mia – appunto – una professione. Sono però entusiasta dei feedback ricevuti in termini di recensioni e di classifiche di vendita: in un’epoca in cui in Italia escono quasi 70.000 libri l’anno e dei quali solo il 4% vende più di mille copie, sicuramente il mio libro sta ottenendo enormi risultati per un esordiente. Per giunta siamo solo all’inizio, nel senso che il vero “tour” delle presentazioni – che sono il “motore” di un libro – comincerà solo tra qualche giorno…

Suonare, correre, praticare un’arte marziale sono tutte attività che richiedono una grande disciplina ma cosa hanno in comune per te? Cosa te le fa amare così tanto?
Questa è la risposta più semplice di tutte: adoro tali discipline poiché so che non avrò mai smesso di imparare, di apprendere, e avrò sempre e comunque qualcosa da migliorare o da perfezionare. Il fatto di non dover scrivere la parola “fine” mi aiuta a dare un senso a quella lunga giornata chiamata vita. I tasti, l’asfalto e il tatami, poi, sono gli unici tre “luoghi” dove riesco a non pensare.

Dalle pagine del romanzo emerge un Patrick stakanovista, uno che non si ferma mai e allora mi chiedo: Patrick si dedica mai al “dolce far niente”?
No, devo essere sincero. Il “dolce far niente” non fa parte del mio bagaglio di competenze. Se non lavoro mi alleno, se non mi alleno studio, se non studio dormo (il poco tempo che rimane).

Nel tuo libro c’è una caratteristica: ogni capitolo termina con il titolo del successivo. Questo espediente stilistico è nato per caso?
Diciamo che adoro questo tipo di “giochini”, spesso lo faccio anche con la musica inserendo citazioni nascoste, legami non dichiarati tra un brano e l’altro, temi rovesciati o trucchetti matematici per le successioni armoniche. Certi espedienti, messi in un libro, risultano semplicemente più evidenti.

Quali sono gli scrittori che ami? E i musicisti che più ti hanno ispirato?
Sui musicisti – almeno in chiave contemporanea – non nascondo un profondo interesse per Sakamoto. Sugli scrittori il discorso è più ampio, ne amo tanti (al pari dei generi letterari). Per rimanere in Giappone non posso non citare Murakami, ma amo molto anche le biografie (degli sportivi in particolare, ho adorato “Open” di Andre Agassi), qualche classico o – come lettura più leggera – i thriller (tendenzialmente americani ma non solo). Ho poi scoperto Carofiglio e De Giovanni, due stili di scrittura che ho trovato corroboranti.

E ora l’ultima domanda, il marchio di fabbrica di Zebuk: quali sono i libri attualmente sul tuo comodino?
Faccio solo un riassunto di agosto, mese nel quale ci ho dato dentro non poco grazie al fatto che – per scelta – non ho tenuto presentazioni. Ho letto un bellissimo libro di Maurizio De Giovanni, poi sono passato a “Correre è la risposta” di Ivana di Martino, una splendida persona e una splendida atleta. Ho letto poi “Le assaggiatrici” di Rosella Postorino, candidato al premio Campiello, notevole per abilità tecnica. Infine, per rilassarmi, ho terminato “I figli di Dio” di Glenn Cooper, “leggero” ma molto efficace per le modalità di costruzione della storia. Ora mi aspetta il remake di Macbeth di Jo Nesbo.

ps Come è andata al Passatore?
È stata una vera battaglia, ho fatto gli ultimi 20 km camminando sui talloni e con le scarpe insanguinate a causa delle vesciche (altro che thriller!), ma la medaglia da finisher troneggia nella mia bacheca: prima 100 km di corsa in archivio!

Francesca, 44 anni, mi firmo come SIBY su Zebuk. Amo leggere e fin da piccola i libri sono stati miei compagni. Leggo di tutto: classici, manga, thriller, avventura. Unica eccezione Topolino; non me ne vogliate ma non l’ho mai trovato interessante.

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