Ero un piccolo manichino seminudo, di fronte a bambini e bambine in preda all’estasi per l’umiliazione più divertente del primo quadrimestre. Alla prima lacrima calda che cadde a terra, strappai dalle mani della strega i miei vestiti e corsi via dall’aula, piangendo per tutto il corridoio e per le scale.
Un libro così non me lo aspettavo proprio. Già, perché ho questa fissa di non leggere neanche il risvolto di copertina*, per avere la sorpresa totale quando entro in un libro.
E Il figlio delle rane era un titolo che mi raccontava tutt’altro.
Ma è stata una bellissima sorpresa, lo ammetto!
* per un approfondimento sulle parti che costituiscono un libro leggete qui il post di Petunia Ollister, su Hoppipolla: Le copertine dei libri.
La mia recensione de Il figlio delle rane, Giulio Beranek, Marco Pellegrino
Il figlio delle rane: non si tratta di chissà quale essere magico, fantastico o immaginario, ma di un semplice figlio di giostrai, nella Puglia dei giorni nostri. Giulio Beranek racconta la sua storia e il suo mondo, un mondo affascinante, per molti versi evitato dalla gente “ferma”, perché considerato pericoloso, strano, diverso.
Giulio è orgoglioso della sua famiglia, della sua vita, del suo campo, della libertà di cui può approfittare, del fatto di essere continuamente sottoposti all’imprevedibile (e di saperlo gestire, ogni volta, con arte). A volte però anche Giulio avrebbe voluto passare inosservato, essere “come gli altri”:
Ma io da bambino volevo essere semplicemente come gli altri, avere delle abitudini, passare inosservato, svincolarmi da quell’imprevedibilità congenita insita nel carattere di ogni “dritto”. Sì, perché la nostra vita non poteva avere abitudini, ogni cosa era in divenire, scorreva e cambiava come l’acqua del fiume di quel filosofo greco che, chissà, forse anche lui veniva da una famiglia dello spettacolo viaggiante.
Una vita diversa, quella dei giostrai, sì. Una vita fatta di lavoro duro, di giorni di pioggia e mancati guadagni, di permessi negati, di scuola frequentata a singhiozzo, di grandi famiglie e tradizioni, di disprezzo da parte di alcuni. Leggere questa vita con gli occhi di un bambino, che vede e osserva tutto dal suo punto di vista – più basso ma non per questo meno critico, anzi – fa uno strano effetto, provoca pensieri e riflessioni: chi è il diverso? Chi lo è davvero? Perché ammettiamolo, quando si osserva un giostraio ci sono alcuni luoghi comuni che arrivano veloci e fanno danni come e quanto le cavallette. E però, come in ogni cosa, il luogo comune non è sempre la verità. E però, come per tutti gli individui del mondo, c’è chi è giusto e chi no.
La vita che Giulio Beranek racconta ne Il figlio delle rane sa di zucchero filato e suona musica a tutto volume, colpisce duro come il Pugnometro di zia Cinzia, accoglie cuori spezzati tra i manichini malconci del tunnel dell’orrore, parla di diffidenza e di libertà e di lampadine colorate, e lo fa sempre come se si trattasse di una favola. È una storia di formazione, bella e dura a tratti, che ha molto da insegnare a ognuno di noi.
Uguali & Diversi, ancora.
Si continua a parlare di Uguali & Diversi perché ne sentiamo un grande bisogno. Perché crediamo nella bellezza della diversità, nella sua ricchezza e nelle possibilità che sa dare a chi è capace di cogliere il suo significato. Leggendo Il figlio delle rane mi sono trovata a chiedermi se questo mio interesse per la diversità non fosse indirizzato solo a certi settori, se fossi davvero aperta a tutte le coniugazioni del diverso.
Credo ci sia molto da approfondire, credo che certi stereotipi dovrebbero essere studiati per bene e poi fatti a pezzi.
Quello è il mio posto preferito, altro che baracca, come la chiamano in tanti. Per me è enorme: la schiena di mio padre è larga e possente, l’angolo del divano confortevole; quello è il mio posto segreto, anche se di segreto non ha nulla. […] il più delle volte finisco a dormire lì, […], immaginando un esercito di persone di fronte alla nostra porta che urla: “Zingari, sporcaccioni!” Ma se la devono vedere con mio padre, lui non è magro come me, è forte e non ha paura di nessuno.
Giulio Beranek. Dal Luna Park di famiglia al cinema d’autore
Nato a Taranto nel 1987, Giulio Beranek ha lavorato nel luna park di famiglia per poi trovarsi (per caso, per fortuna, perché la vita è imprevedibile) nel mondo del cinema. Ha esordito con Marpiccolo nel 2009, continuato con Senza arte né parte nel 2011 e partecipato a diverse serie tv, tra cui Distretto di polizia, Tutto può succedere, Il cacciatore.
Questa sua deviazione su carta ci è piaciuta moltissimo, speriamo davvero che prosegua l’avventura!
Quando ebbi il coraggio di aprire gli occhi vidi dall’alto le Rane, il Treno Fantasma, la campagna buia oltre i campini degli indiani e finalmente il nonno, al centro di tutto. Mi stava guardando, con le braccia conserte, e io seppi che non poteva succedermi nulla finché lui era lì.
Il figlio delle rane
Giulio Beranek, Marco Pellegrino
Bompiani (collana Letteraria italiana), 2018, pag. 240, € 16,00
ISBN: 9788845294631