Il giudice meschino, Mimmo Gangemi

Il limone si staccò e fini in terra a fare compagnia a tanti altri ormai infraciditi. Don Mico ne avverti il tonfo lieve, l’andò a raccogliere, lo strofino’ a lungo sotto un filo d’acqua della fontanina, estrasse il coltello da pota e prese a selezionarlo in strisce sottili che si portava alla bocca. Smorfie mentre ne masticava. Sapeva però di libertà, quel sapore acre, l’acquolina di cui gli si ammaricava la bocca.

Un giudice viene ucciso da alcuni balordi, che a loro volta vengono uccisi dalla ‘ndrangheta, che non vuole che i suoi traffici vengano disturbati.

Alberto Lanzi, magistrato, donnaiolo, separato con un figlio con cui cerca di recuperare i rapporti persi nel tempo, rimane amareggiato quando scopre la morte di un amico magistrato.

Inizia  subito le indagini per scoprire cosa si nasconde dietro la morte del collega e diventa una specie di eroe.

Sarà poi il cosidetto cattivo, Don Mico ad instradarlo verso la direzione giusta, perché Don Mico non è altro che un membro della ‘ndrangheta, un vecchio padrino.

Perché forse quello che tutti credono non è come sembra.

Non mancano anche i collegamenti ai traffici di rifiuti tossici.

Un libro dove si va oltre la piaga della ‘ndrangheta, perché ognuno cerca di fare qualunque cosa per un proprio tornaconto.

Una lettura piacevole, molto vera e cruda che rappresenta la società calabrese, in cui la ‘ndrangheta è una presenza accettata e i rapporti con lo Stato sono di diffidenza. E ci si chiede chi è il vero criminale?

 Il giudice meschino
Mimmo Gangemi
Einaudi, 2009, p 358, € 19,00

Classe 1972, mamma di due adolescenti, moglie, assistente personale del direttore di una casa editrice, segretaria di una scuola di musica, amante dei libri e della musica.

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