Ridolfo. Animo figliuoli, portatevi bene; siate lesti e pronti a servire gli avventori, con civiltà, con proprietà: perché tante volte dipende il credito di una bottega dalla buona maniera di quei che servono.
Trappola. Caro signor padrone, per dirvi la verità, questo levarsi di buon ora, non è niente fatto per la mia complessione.
Ridolfo. Eppure bisogna levarsi presto. Bisogna servir tutti. A buon’ora vengono quelli che hanno da far viaggio, i lavoranti, i barcaruoli, i marinai, tutta gente che si alza di buon mattino.
Trappola. È veramente una cosa che fa crepar di ridere vedere anche i facchini venire a bevere il loro caffè.
Ridolfo. Tutti cercan di fare quello che fanno gli altri. Una volta correva l’acquavite, adesso è in voga il caffè.
Questa volta il classico di Zebuk fonde il tema del mese – il caffè – con una categoria già trattata, che vorremmo meglio investigare in futuro: il teatro.
Citare “La bottega del caffè” è dire “teatro, Venezia, Goldoni, commedia”. È voler giocare con i caratteri, i difetti e i vizi dei personaggi, nei quali tutti noi possiamo immedesimarci: chi, almeno una volta nella vita, non ha provato la tentazione di parlar male di qualcuno? chi non si è interessato alla vita di altri, per poterne cogliere gli errori?
I miei caratteri sono umani, sono verisimili, e forse veri, ma io li traggo dalla turba universale degli uomini, e vuole il caso che alcuno in essi si riconosca. Quando ciò accade, non è mia colpa che il carattere tristo a quel vizioso somigli; ma colpa è del vizioso, che dal carattere ch’io dipingo, trovasi per sua sventura attaccato.
La piazzetta su cui affaccia il caffè di Ridolfo è il migliore palco per osservare il microcosmo dei personaggi che gravitano intorno, per trovarsi spettatore delle loro vite, dei segreti, dei fraintendimenti e delle chiacchiere…
La scena stabile rappresenta una piazzetta di Venezia, ovvero una strada alquanto spaziosa con tre botteghe: quella di mezzo ad uso di caffè; quella alla diritta, di parrucchiere e barbiere; quella alla sinistra ad uso di giuoco, o sia biscazza; e sopra le tre botteghe suddette si vedono alcuni stanzini praticabili appartenenti alla bisca, colle finestre in veduta della strada medesima. Dalla parte del barbiere (con una strada in mezzo) evvi la casa della ballerina, e dalla parte della bisca vedesi la locanda con porte e finestre praticabili.
La trama
Ideata e composta nel 1750 da Carlo Goldoni come intermezzo, “La bottega del caffè” è “uno scorcio di realtà portato in teatro”, dove ogni spettatore può (allora come ora) riconoscersi o riconoscere qualche suo conoscente, tratteggiato nei panni di uno qualsiasi dei personaggi: oggetto dell’osservazione di Goldoni è la piccola e media borghesia, nei suoi gesti e riti quotidiani.
Ridolfo, il proprietario della bottega, tiene le fila delle vicende con la maestria di un direttore d’orchestra, conservando buon senso e rettitudine là dove sembra non esistere più. L’altro protagonista, antagonista di Ridolfo, è Don Marzio, nobile napoletano in decadenza col vizio del pettegolezzo. Oggetto delle maldicenze di Don Marzio sono Eugenio, buonuomo col vizio del gioco, Vittoria, sua moglie, Flaminio (il Conte Leandro) e la ballerina Lisaura, Placida, moglie di Flaminio e Pandolfo, proprietario della bisca.
La prima idea del commediografo, l’intermezzo, ebbe talmente successo che Goldoni fu spinto a lavorarci su e a creare una commedia in tre atti, che ebbe moltissimo successo e fu replicata ben 12 volte a Venezia.
Nel tempo la commedia è stata rappresentata più volte. Questa la versione con Tino Buazzelli, del 1973:
Leggendo la commedia si sorride, ci si anima, si ama e si odia, ci si impietosisce di fronte allo spettacolo della miseria d’animo… si simpatizza per l’uno o per l’altro dei protagonisti. E’ piacevole osservare da un punto di vista esterno, seduti e comodi, quello che accade spesso nella vita di tutti noi. E aiuta a meditare sui fatti della vita. Cosa dire, allora, se non
Gradite un caffè?
Buona lettura!
Per acquistare
La bottega del caffè
Carlo Goldoni
Einaudi (collana Collezione di teatro), 1997, pag. 177
ISBN-13: 978-8806068097