Quella che sto per raccontarvi è una storia che parte da lontano. Qualche mese fa, in effetti, ma forse sono stati mesi intensi, oppure quello che ho vissuto è stato così pieno che a ripensarci sembra passato molto più tempo. Ho conosciuto Fabrizio Silei per caso, ho iniziato a leggere i suoi libri partendo da qui, poi l’ho seguito in diversi incontri di un corso di “scrittura creativa” fra virgolette (su questo punto torneremo, ve lo prometto), mi sono appassionata al suo modo di raccontare, di raccontarsi e di far raccontare gli altri e ho fatto amicizia con lui e con altri personaggi interessanti, tra cui Gianluca Lucchese, autore di questa intervista per Zebuk. Non vi racconteremo chi è Fabrizio Silei, cosa ha scritto, dove vive, cosa ha studiato, queste cose potete andare a cercarle da soli, le troverete in giro per il web; questa non è una normale intervista, non vuole esserlo. Piuttosto saranno chiacchiere e giochi tra persone nuove, più o meno conosciute, che ci hanno incuriosito parecchio. Scopriamole insieme e facciamoci coinvolgere, sarà un divertimento! polepole
Gianluca ha partecipato all’inaugurazione de L’Ornitorinco Atelier, il laboratorio “bottega atelier, studio d’artista, sul modello delle vecchie botteghe artigiane fiorentine” fatto diventare realtà da Fabrizio e sua moglie, Francesca. Abbiamo chiesto a Gianluca se poteva improvvisarsi giornalista d’assalto per noi di Zebuk e questo è quello che ne è uscito. Prima di lasciarvi all’intervista vogliamo ringraziare con tutto il cuore Fabrizio e Gianluca che si sono prestati alla nostra curiosità, l’uno come intervistato l’altro come inventore di nuovi giochi!
Gianluca: Ho appreso, non senza meraviglia, che l’Ornitorinco, quando nuota, tiene gli occhi completamente chiusi affidandosi agli altri sensi: se adesso ti chiedo di abbassare le palpebre qualche istante, che sensazione o emozione hai nell’immergerti in questa giornata così ricca di gratitudine e stima nei tuoi confronti?
Fabrizio: C’è stato un momento in cui ho avuto timore. Timore di aver intrapreso un’impresa più grande di me. Non sono un granché come organizzatore. Ma anche paura di aver chiesto troppo ai tanti amici illustratori e scrittori. Sì, timore del flop, che non venisse nessuno all’inaugurazione dell’Atelier e al muro rimanessero appese due o tre illustrazioni. La data si avvicinava e non sapevo chi sarebbe venuto e chi no, disperavo di avere abbastanza illustrazioni e testi per la mostra. Invece, all’ultimo momento, come succede sempre con noi creativi, una pioggia di ornitorinchi ha precipitato me e Francesca in un’eterna mattina di Natale. Per giorni e giorni abbiamo aperto pacchi con bellissime e generosissime opere sull’ornitorinco. Alla fine la mostra si è composta come un racconto. Né uno in più né uno in meno di quanto le pareti avrebbero potuto accogliere. Più di 60 autori fra scrittori e illustratori, con le voci più importanti e autorevoli che hanno partecipato. Rimaneva l’enigma evento, quaranta gradi hanno dissuaso molti. Ma sapere di persone, alcune delle quali mai conosciute prima, partite da Trento, dal Friuli, da Roma per arrivare alle 15 a Pescia in una giornata bollente. Beh, questo ci ha veramente commosso e, alla fine, credo siano intervenute in tempi diversi più di cento persone, più o meno la metà dei previsti. Allora è arrivata la gioia di chi si meraviglia di quanto le sue storie, i suoi libri e il suo modo di stare con gli altri, possa essere apprezzato. Questo fa piacere, aprire gli occhi e capire che la nuotata ad occhi chiusi che si è fatta ci ha portato davvero dove volevamo andare. Grazie a tutti e in particolare a Gianna Vitali che è venuta da Milano con Annalisa Strada per inaugurare L’Ornitorinco Atelier. Rimane una sentimento di grande gratitudine.
Il nostro piccolo mammifero, ha uno sperone cavo che usa per iniettare un veleno in caso di necessità. Quali sono, a tuo parere, i pericoli maggiori che possono limitare la creatività e la fantasia di chi vuole dedicarsi, con risultato, alla scrittura? Ovvero, a chi o a cosa inietteresti il “veleno”?
Beh, questa domanda è collegata alla precedente. Ognuno di noi vorrebbe l’approvazione degli altri e piacere a tutti. Viene naturale allora guardare cosa fa chi ci riesce e cercare di fare lo stesso. Questa è la strada sbagliata secondo me. Occorre partire dalla consapevolezza che non si può piacere a tutti e che le nostre storie se sono importanti e potenti devono per forza rischiare e dispiacere a qualcuno. Tenere, morbide, gustose, ma anche con una stilla di veleno. Guardarsi intorno per capire non quali sono le storie che vanno, ma per raccontare le storie che nessuno racconta, per seguire una propria strada. Io personalmente, quando una mia storia piace troppo o a troppe persone, mi domando dove ho sbagliato. E’ una battuta, ma per raccontare occorre avere qualcosa da dire, dei demoni da combattere, scongiurare e cavalcare. L’ornitorinco rappresenta anche questo, seduzione, tenerezza, ma anche forza inaspettata e nascosta, micidiale. Troppi scrivono da pecore, conigli o da pesci rossi, pensando che le storie debbano essere carine, tenere, e basta. La grande letteratura, invece, è fatta d’altro. Quando i genitori protestano perché nel miei libri per più grandi si parla di aborto, zingari, sessualità, furto, io so che non è la protesta della madre di fronte alla parolaccia. Non ce ne sono nei miei libri. Ma è la preoccupazione di chi avverte che in quelle storie si fa i conti con la vita, noi stessi, la complessità, il lato oscuro. Che non sono più storie da bambini, ma da adulti, non per ragazzi, ma di ragazzi. Allora sono felice. La stessa cosa, in maniera diversa, funziona con le storie per i più piccoli, in dosi e modalità diverse. Insomma, le storie pacifiche non sanno di nulla. Le fiabe toscane che mi raccontava mia madre da bambino erano terribili e piene di veleno, permettevano di fare i conti con il lato oscuro e di uscirne vincitori. Ma perché ciò accada occorre sfilargli molto vicino al veleno, è un rischio, più si è grandi più è doveroso correrlo per costruire una storia, la propria storia, se non a lieto fine, almeno sensata. Meglio conoscere le storie e farci i conti che ritrovarsi travolto da una vita digiuna di storie.
Vincere due volte il Premio Andersen ed entrare nella Honour List come miglior libro pubblicato in Italia, t’infonde più responsabilità o carica ed energia per i tuoi lavori futuri?
Fa piacere, ma i libri servono ad essere letti e i premi devono servire a far leggere i libri. I Premi servono a far arrivare meglio le proprie storie ai lettori. Responsabilità, certo e voglia di fare sempre meglio, di rischiare sempre di più, ma senza provocazioni o temi scabrosi, semplicemente approfondendo la propria scrittura.
Nei corsi di scrittura dici che le parole dobbiamo prenderle da lontano. Tu dove vai a cercarle?
Non le cerco più, lascio che vengano, ho trovato un modo di “mettermi a scrivere” che le fa venire. Tutto qui. Nella fase della bottega è diverso, occorre cercarle, buttare via le prime, avere il gusto della lingua, della letteratura italiana. Leggere gli italiani, questo il mio consiglio. E poi vanno difese, specie nel settore ragazzi, ci sono frotte di editor pronti a dire troppo difficile, a impoverire la lingua degli scrittori.
Agli esordi hai pubblicato con uno pseudonimo, cercando forse un’identità arrivata, saldamente e con forte personalità, in seguito; rivolgendoti a chi è agli albori e ancora non riesce a definirsi “scrittore”, qual è il momento, se mai c’è, che si può cominciare a definirsi tale?
Io sono diventato narratore a 4 anni, quando mia madre, stanca di raccontare mi ha detto “continua tu” e ho iniziato a raccontare io. Poi mi ci si sono voluti altri 34 anni per pubblicare i libri e una vita di mezzo, tanti lavori, amori, delusioni, la vita insomma. Il problema delle definizioni è un problema sociale. Racconta storie e sei un narratore. Non le racconti, non ti piacciono, non le ascolti, non le cerchi? Niente di male, sei qualcos’altro. Le cose vengono, non basta mettere scrittore sul biglietto da visita o sul blog, non basta nemmeno scrivere libri e raccontare dei fatti. In Italia sono tutti scrittori, ma conosco vecchi che non hanno mai scritto una parola e sono formidabili narratori. Questa è la differenza.
In un racconto di quel libro di 14 anni fa, “I mobili di Marta”, Eliana si rivolge al protagonista dicendo -Lo scrittore sei tu, vediamo come lo continui e poi ne riparleremo-. Se io ti scrivo una cosa così, a caso, tipo, – Celeste non parlava. Alex, anche troppo -, puoi completare con una frase o qualche parola questo accenno d’incipit per Zebuk, il blog collettivo degli amanti dei libri per il quale ti ho fatto questa intervista?
Certo che posso, giocare mi piace. Ho poche parole, quindi devo fare i fuochi d’artificio subito, dico bene?
“Celeste non parlava. Alex anche troppo. Dio li fa e poi li accoppia, dicevano di loro. Ed era vero. Li vedevi camminare a fianco. Alex gesticolava e parlava di continuo e Celeste a testa bassa ascoltava, sorrideva, annuiva, ma non diceva nulla. Vaso che accoglie l’uno, sorgente che sgorga l’altro. Fino a che non conobbero Beatrice, allora qualcosa cambiò fra quei due. Come se lei, dispettosa, avesse messo la sua mano fine e delicata sopra la bocca del vaso facendo schizzare ovunque le parole di Alex, lasciando vuoto e asciutto il vaso. Chi fu il primo dei due a baciarla non si sa. La baciarono entrambi però, questo è certo. Fu colpa di quell’estate troppo lunga e calda, della sua voglia di essere guardata. Baciò Alex per farlo tacere, Celeste per farlo parlare.”
E adesso continua tu Gianluca, vediamo come va a finire?
È noto, un tappo rotondo non chiude un buco quadrato e la voce si sparse subito tra gli ospiti della Comunità di S. Ranieri. Poi, un po’ per l’arsura o forse per abbattere la solita noia, quei discorsi divennero vento, presero le scale, indossarono una fresca camicia di lino e volarono, divertiti, tra la gente del paese. Qualcuno giurò di aver sentito Celeste ringraziare il Signore, qualche altro raccontò i nuovi silenzi di Alex. Nella messa domenicale, il parroco, assorto in quei soliti sconnessi sermoni, confuse spesso, tra l’ilarità dei fedeli, il diavolo tentatore col nome di Beatrice…
sottovoce, con questa storia lasciata in sospeso a stuzzicare gli animi, aspettiamo che qualcuno di voi voglia provare a continuare il racconto. Chi può immaginare cosa accadrà a Celeste, Alex e Beatrice?