La leggenda narra di un uccello che canta una sola volta nella vita, più soavemente di ogni altra creatura al mondo. Da quando lascia il nido, cerca e cerca un grande rovo e non riposa finché non lo abbia trovato. Poi, cantando tra i rami crudi, si precipita sulla spina più lunga e affilata. E, mentre muore con la spina nel petto, vince il tormento superando nel canto l’allodola e l’usignuolo. Una melodia suprema il cui scotto è la vita. Ma il mondo intero tace per ascoltare, e Dio, in Paradiso, sorride.
Al meglio si perviene soltanto con grande dolore… o così dice la leggenda.
La recensione di Uccelli di rovo, Colleen McCullough
Quando si parla di romanzi d’amore non si può certo scordare la storia contrastata e avvincente di Padre Ralph de Bricassart e della sua amatissima Meggie Cleary. Chi non conosce questa storia, se non fosse altro per la sua trasposizione televisiva con protagonisti Richard Chamberlain e Rachel Ward? Meggie e il suo dannato amore per un prete, Ralph e il suo sconsiderato e scandaloso amore per una bambina.
Ma di amore a vari livelli e di tanti tipi è intriso tutto quanto il romanzo: amore particolare e silenzioso tra i genitori di Meggie, Fiona e Paddy, amore puro e pulito di Meggie per suo fratello maggiore Frank, amore prepotente e consumato dalla gelosia della ormai anziana Mary Carson per il reverendo Ralph, amore tenero per Anne e Ludvig, amore straziante per una sorella, Justine, per un fratello, Dane.
Ho visto da ragazzina la miniserie televisiva, tanto tempo fa, ed è stata una specie di rivelazione, soprattutto per le scene che a quei tempi erano considerate particolarmente audaci: amore/sesso tra un prete e una ragazza; amore, profondo e viscerale e impossibile da contrastare, tra un uomo e una donna. Ma in realtà in quella serie si parlava solo di questo, non di tutto il resto del romanzo.
E leggerlo, a distanza di tanti anni e con una certa maturità in più, è stato ancor più importante e toccante: Uccelli di rovo – il romanzo non è solo la storia dell’amore e della passione tra un uomo e una donna. Uccelli di rovo è molto altro, anzi: direi che quella storia è solo una tra le tante storie che si intrecciano nel romanzo.
Colleen McCullough ha una capacità descrittiva incredibile e quando ti trovi immersa nelle pagine del libro riesci a vedere con i tuoi occhi le distese calde e aride dell’Australia, a sentire il sole arido sulla pelle, i profumi di Drogheda e l’odore di melassa nelle coltivazioni di canna da zucchero. E te li trovi nel cuore per sempre, insieme alle parole aride di Mary, a quelle rabbiose di Frank, a quelle rassicuranti di Ralph.
L’uccello con la spina nel petto segue una legge immutabile; è spinto da non sa cosa a trafiggersi, e muore cantando. Nell’attimo stesso in cui la spina lo penetra, non ha consapevolezza della morte imminente; si limita a cantare e a cantare, finché non rimane più vita per emettere una sola altra nota. Ma noi, quando affondiamo le spine nel nostro petto, sappiamo. E lo facciamo ugualmente. Lo facciamo ugualmente.
Alcuni passi sono davvero strazianti: vorresti entrare nella storia per svegliare chi si sta arrendendo e abbandonando, per salvare chi lotta con tutto se stesso per la vita e la famiglia, per schiaffeggiare chi non sa apprezzare e rispettare l’amore e vive solo di arrivismo e avidità.
Ho amato per tutta la mia vita un uomo che non poteva essere mio.
Spunti di riflessione ce ne sono parecchi. Ci sono l’avidità e l’arroganza, c’è l’arrivismo e c’è la passione, ci sono storie intrecciate di amore donato e amore preteso. C’è la storia di una figlia per niente amata da sua madre, quella di un figlio che ama sua madre più di ogni altra cosa al mondo, c’è la storia dell’amore in tutte le sue varianti.
Una lettura appassionante e per niente scontata. Da leggere.
Uccelli di rovo
Colleen McCullough
Bompiani, 2003, p. 558, €. 9,35
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