Domenica 11 ottobre ho partecipato ad un evento intitolato “Dagli Appennini alle Ande” presso la Feltrinelli di Monza e vi suggerisco di leggere i libri gli autori che erano presenti.
I sei scrittori attraverso i loro libri hanno raccontato la loro esperienza personale di migrazione dal Sud al Nord, con i loro successi, le loro gioie, e anche la nostalgia per aver abbandonato una terra che gli ha dato tanto, senza rinnegare anche i successi della nuova terra.
«Ringrazio i colleghi, che sono principalmente amici» dice la Limone, napoletana di nascita e milanese per matrimonio, «per avere aderito con entusiasmo a quest’idea che deriva dalla mia esigenza di dire un enorme grazie a una terra che mi ha dato tanto».
Fulmine, Lello Gurrado
Viene al mondo in automobile, nel pieno di un furibondo temporale, e Fulmine è il nome che la sua mamma ragazza gli dà.
Cresce bello e forte sotto il sole di Puglia, a diciotto anni scalpita; vuole lavorare, partire, andare lontano.
Raccogliendo olive e pomodori scopre per la prima volta l’ingiustizia degli uomini; poi, in quel Nord che tanto sognava, vede un uomo cadere da un ponteggio senza protezione, vede persone malmenate a colpi di spranga perché hanno la pelle di un altro colore.
Altri magari girano la testa, oppure si indignano per cinque minuti e poi pensano ad altro.
Fulmine no, lui non ci sta: vuol dire no, vuol dire basta.
“Non posso stare bene se non faccio qualcosa per cambiare il mondo” confida nella notte alla sua dolce ragazza innamorata.
Invoca silenziosamente i suoi eroi: Nelson Mandela, Martin Luther King e Malcolm X. Gli spiegano che è sempre perdente, la battaglia di un uomo solo.
Chiama a raccolta il suo professore d’italiano, che gli aveva raccontato così bene gli errori della Storia: nella cucina del professor Santamaria nasce il piano invincibile, la protesta ‘violenta e pacifica’ che si propagherà a macchia d’olio e piegherà i potenti.
Segnando il suo destino.
Storia di un eroe di oggi: di un ragazzo coraggioso nato per combattere razzismo e ipocrisia.
A rischio del suo amore e della sua stessa vita.
L’albero di stanze, Giuseppe Lupo
A conclusione di una serie di romanzi che hanno disegnato in questi quindici anni il destino delle genti di Lucania durante il lungo e drammatico attraversamento di un tempo sospeso tra il nuovo e l’antico, la fervida e generosa immaginazione di Giuseppe Lupo si condensa in un’unica, inarrestabile ascesa nel silenzio solitario degli uomini e nel racconto che i muri evocano delle generazioni durante tutto il secolo che ormai sta per chiudersi insieme al secondo millennio dopo la nascita di Cristo. Non è una saga questa di una Lucania diventata Lupania e neppure una mitica leggenda, piuttosto un paziente e amoroso rendiconto di una conquista, stanza sopra stanza, piano dopo piano, poi abbandonata per rivolgersi a nuove mete, in un altrove lontano; un bilancio tra storia e memoria dove i conti debbono in ogni caso quadrare, perché ormai vanno chiusi, e anche in fretta, con la vendita di tutta la ‘casa verticale’, ricorrendo a ogni forza ci venga dal riemergere dei ricordi, mentre le parole svaniscono in un definitivo silenzio. Lupo traccia un bilancio esistenziale e morale che va oltre il rimpianto, sfidando il futuro con l’entusiasmo del sogno e la concretezza del gesto. Di questa epopea Lupo, con ‘L’albero di stanze’, si conferma appassionato e sincero testimone, autentico e luminoso cantore, in un romanzo che segna con dolente e sofferta coscienza la conquista di una vita nuova”. (Cesare De Michelis)
Vado a Napoli e poi muoio, Carelli Daniela
Fabrizio, ragazzo milanese di trentadue anni, è cresciuto in una famiglia nella quale la Lega è una ragione di vita, l’Italia è considerata un concetto astratto, per non dire pericoloso, e Rimini coincide con il confine oltre il quale si arriva nel meridione o, per meglio dire, dal nemico. Quando sul posto di lavoro Fabrizio conosce Linda, un’esuberante ragazza napoletana, la sua vita viene catapultata in un turbine che mette presto in discussione tutte le certezze e gli equilibri fin lì raggiunti. L’autrice svolge in maniera attuale e spigliata il dialogo fra Nord e Sud d’Italia e racconta, facendoci divertire, l’incontro di due giovanili aspirazioni alla bellezza, alla gioia, all’amore, che si contrappongono ignorando d’essere identiche, finché Napoli non lo rivelerà.
Capo scirocco, Emanuela E. Abbadessa
Siamo a fine Ottocento. L’aria di Capo Scirocco è tiepida e profumata di glicine la mattina in cui Rita Agnello, nobildonna di gran carattere e bellezza, nota un ragazzo che dorme sotto un arco. Approdato in Sicilia con solo pochi stracci e la sua potente voce da tenore, Luigi è giunto a Capo Scirocco su un carro, al riparo di un oggetto prodigioso e sconosciuto: “una grossa goccia nera e lucida, tutta piatta sopra e come tagliata da un lato”. Ovvero un pianoforte a coda, che il giorno prima ha visto scaricare al porto. Adesso ne ha perso le tracce, ma ha trovato una benefattrice. La signora, sfidando ogni convenzione sociale, lo accoglie con tutti gli agi a palazzo Platanìa e gli offre un’educazione aristocratica: Luigi studia canto, frequenta i salotti della città, assapora il vento che le dà il nome e che si dice faccia impazzire le donne. Rita pare sempre più vitale, meravigliosa agli occhi del ragazzo che nel frattempo ha ritrovato il pianoforte: appartiene ad Anna, la giovane figlia di un mercante di agrumi. Ogni sera la ascolta suonare dalla strada, sogna di stregare le platee di mezzo mondo come cantante lirico e si sente già cresciuto, quasi uomo. Ma quando soffia lo scirocco, due donne nella mente di un ragazzo sono troppe. In un romanzo che ha la forza di un classico, Emanuela Abbadessa dà vita a una Sicilia voluttuosa e nobile, e ci racconta come il demone d’amore, in tutto simile a un vento caldo o a una melodia struggente, accende i desideri e travolge i cuori.
Un terremoto a Borgo Propizio, Loredana Limone
A Borgo Propizio va in scena la vita che, si sa, è fatta di cose belle e di cose brutte. Cose belle, il borgo ne ha tante da sfoggiare da quando è risorto a nuova vita, con il Castelluccio restaurato e le imbellettate case del contado, ora affacciate sull’elegante pavé a coda di pavone della piazza del Municipio, e con l’elettrizzante fermento culturale che si respira già fuori della cinta muraria e che sicuramente fa rodere il fegato a fior di città d’arte. Ma un giorno qualcosa di molto brutto, un violento sisma, arriva inclemente a distruggere ampia parte del centro storico, gettando nella disperazione i propiziesi che tanto amano il loro paese. La villa del Comune sembra una scatola con il coperchio sfondato; il pavé è sprofondato quasi agli inferi; i lampioni, ora ciechi e senza luce, con le bocce frantumate, appaiono piegati alla catastrofe; le botteghe e le abitazioni sono squarciate, orribilmente. Felice Rondinella, appassionato sindaco, vive l’immane disastro come un fallimento personale, e Padre Tobia si sente troppo stanco per portare il peso della croce. Perché non si tratta solo del terremoto: al borgo i peccati sono diventati incontenibili e le confessioni scandalo allo stato puro. Non si capisce più nulla, tutto è sottosopra. L’unico fatto certo è che il professor Tranquillo Conforti, trovato a terra nella Viottola Scura, non ha avuto un infarto mentre scappava, spaventato dalle scosse, ma è stato ucciso. Un assassino a Borgo Propizio? La faccenda si complica…
Sotto un cielo di carta, Roberto Ritondale
La Grande Nazione del Nord è governata dal regime del generale Sainon sulla base di una nuova ideologia: il controllismo. Perché tutto sia tracciabile (dai sentimenti alle letture), viene abolita la carta. Per fare qualsiasi cosa è necessario utilizzare un tablet collegato a un grande server governativo. Ma l’ex cartolaio Odal Clean non si arrende e a modo suo combatte per la libertà. La rivolta andrà a buon fine grazie a lui, a un gruppo di nostalgici e al comitato Cleo di cui fa parte la figlia di Odal, Marie, una giornalista da anni in esilio.
Buona lettura!