Ogni mattina a Jenin, Susan Abulhawa

In un tempo lontano, prima che la storia marciasse per le colline e annientasse presente e futuro, prima che il vento afferrasse la terra per un angolo e le scrollasse via nome e identità, prima della nascita di Amal, un paesino a est di Haifa viveva tranquillo di fichi e olive, di frontiere aperte e di sole.

La recensione di Ogni mattina a Jenin di Susan Abulhawa

Ad Ain Hod, in Palestina, la vita è sempre stata scandita da momenti ben precisi: la raccolta delle olive, il lavoro nei campi, le cinque preghiere quotidiane.
In questo paese donato da Saladino ai suoi uomini più valorosi nel 1181 gli uomini e le donne conducono una vita semplice rallegrata dalle voci dei bambini e scaldata dal sole.
Qui la famiglia Abulheja vive da sempre, di generazione in generazione, eppure le cose stanno cambiando.
Perché Ain Hod sorge su un territorio che diventerà parte di Israele e gli ebrei in fuga dall’Europa stanno arrivando sempre più numerosi reclamando la terra di latte e miele.
Con estrema e anche puerile fiducia nel prossimo gli abitani di Ain Hod vogliono credere che ci sia posto per tutti ma non è così che le cose andranno.
Scacciati dalle loro case, uccisi, malmenati, imprigionati, verranno portati a Jenin, in un campo profughi provvisorio che invece diventerà la loro casa.

La mia opinione di Ogni mattina a Jenin di Susan Abulhawa

Ogni mattina a Jenin è un romanzo pubblicato da Feltrinelli.
La vicenda va dal 1948 al 2002 ed abbraccia quattro generazioni della famiglia Abulheja.
La voce narrante è Amal che con le sue parole piene di amore e di dolore ci fa rivivere il sogno infranto di un villagio e di un popolo ricco di tradizioni e di amore per la sua terra.

Un libro che scorre velocissimo talmente trascinante è la narrazione e la vicenda raccontata.
Impossibile non piangere di rabbia e di dolore davanti ai massacri eseguiti dai soldati israeliani.

Ogni mattina a Jenin getta uno squarcio di luce su quella che è la vita di un profugo a cui hanno tolto tutto illudendolo che una soluzione sia possibile.
Il libro ti fa percepire cosa significhi essere sradicati, allontanati non solo dalla propria casa ma anche dagli affetti più cari come capiterà ad Amal che andrà a vivere negli Stati Uniti e che ritroverà parte della sua famiglia solo nel finale.
Ci parla della nostalgia, del dolore, dell’incapacità di raccontare agli altri cosa succede da anni sotto gli occhi del mondo nel silenzio complice di istituzioni e stampa.
Ed è questa credo l’accusa più grande del libro: verso gli statisti che hanno usato il popolo illudendolo, verso la stampa che ha taciuto e scelto di non raccontare, verso il resto del mondo che continua a voltare le spalle.

Un libro che dà numerosi spunti d riflessione e in cui nessuno è migliore o vincitore ma tutte le parti portano sulle spalle il fardello di un dolore e di una colpa impossibile da cancellare.
Buona lettura.

Ogni mattina a Jenin
Susan Abulhawa
Feltrinelli, 2013, p. 396, €. 10,00

SIBY
Francesca, 44 anni, mi firmo come SIBY su Zebuk. Amo leggere e fin da piccola i libri sono stati miei compagni. Leggo di tutto: classici, manga, thriller, avventura. Unica eccezione Topolino; non me ne vogliate ma non l’ho mai trovato interessante.

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