Memorie di un porcospino, Alain Mabanckou

insomma, sono un animale, una “bestia selvaggia”, direbbero gli umani, come se non esistessero bestie peggiori e ben più selvagge all’interno della loro specie, per loro sono solo un porcospino e giacché si fidano esclusivamente di quello che vedono sono portati a concludere che non ho niente di speciale, appartengo al novero dei mammiferi muniti di lunghi aculei, incapaci di correre veloci come un cane da caccia, aggiungerebbero, e costretti per pigrizia a vivere non lontano dal cibo di cui si nutrono

Continua il fantastico viaggio in Africa di Lees – Leggiamo: stavolta incontriamo un semplicissimo e dolcissimo (ma siamo proprio sicuri?) porcospino. Sì, proprio quell’animaletto con quelle belle spine lunghe e variopinte, tanto carino e simpatico…

La recensione di Memorie di un porcospino, Alain Mabanckou

intendo dire che nelle mie elucubrazioni cercavo di capire cosa ci fosse dietro a ciascuna idea, a ciascun concetto, adesso so che il pensiero è un elemento essenziale, è il pensiero a suscitare negli esseri umani dolore, pietà, rimorsi, ovvero bontà e cattiveria, e se il mio padrone questi sentimenti li spazzava via con un gesto della mano, io invece ne ero vittima dopo ciascuna missione, più volte ho sentito le lacrime scorrermi giù dagli occhi perché, corpo di un porcospino, quando si viene colti da tristezza o compassione si avverte come un grumo nel petto

Leggendo le prime pagine di Memorie di un porcospino, di Alain Mabanckou, mi sono ricordata del primo volume di una trilogia, letto un po’ di tempo fa: La bussola d’oro (che fa parte della trilogia Queste oscure materie, di Philip Pullman).
In quel mondo ogni persona era affiancata da un personale daimon, un’anima animale distinta dall’umano a cui appartiene ma che lo segue sempre, un antico mito dei popoli del passato, che ogni tanto ritorna, in forme ed evoluzioni diverse, ma sempre abbastanza riconoscibile.

Nel mondo di Alain Mabanckou, nell’Africa da cui proviene, esistono invece leggende che parlano di “doppi animali”, che possono essere pacifici o nocivi. Il nostro caro porcospino è uno di questi doppi nocivi, e il suo destino – impossibile da cambiare – è quello di seguire e assecondare il padrone in qualunque cosa faccia.

La mia opinione su Memorie di un porcospino, Alain Mabanckou 

Il suo racconto, tragicomico, ricco di riflessioni sull’umana gente, è uno di quei punti di partenza per pensarsi e ripensarsi, per confrontarsi su debolezze e contraddizioni dell’animo umano. Una bella storia da prendere tra le mani in uno di quei momenti di svolta della propria vita. Un po’ come fa Ngoumba, il porcospino, che si aggira per il paese del suo padrone, “Kibandi, morto l’altro ieri”, cercando di capire se anche lui sia morto oppure sia sempre vivo.

Periodi senza un punto, solo virgole per far prendere respiro tra un pensiero e l’altro. Forse perché pensato in tono da soliloquio, lo stile del racconto è attraente fin dall’inizio. Se poi siete tra quei lettori che amano immedesimarsi e perdersi nei racconti che spaziano nel tempo, fra corsi e ricorsi, Memorie di un porcospino fa proprio per voi.

Leggetelo, mi saprete dire se sbagliavo oppure no!

Memorie di un porcospino
Alain Mabanckou
66th and 2nd, 2017, pag. 178, € 16,00
ISBN: 978-8896538906

Polepole è Silvia, lettrice affamata e da poco tempo molto selettiva, geometra, architetto, perenne studente della vita. Sono nata nel 1973, in un soleggiato ultimo giorno di aprile, ho un marito e due figli meravigliosi, che riempiono la mia vita di emozioni belle. Passerei l’intera esistenza sui libri, con tazza di cioccolata fumante al seguito, senza distogliere lo sguardo se non per farmi conquistare dalla copertina di un altro libro.

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